Kunihiko (Masaya Katō) è uno yakuza che vede il suo boss Higuchi (Naoto Takenaka) come un padre e i suoi compagni come una famiglia. Quando il potente clan Tensei ha bisogno di un nuovo leader, i clan Kaito e Shirane ordiscono un intricato complotto per arrivare al potere, scatenando una violenta guerra fra bande. Tradito durante uno scambio, Higuchi muore sotto gli occhi increduli di Kunihiko che decide di reagire con una sanguinosa e spietata vendetta.
Collaborando con lo sceneggiatore Shigenori Takechi, Takashi Miike mette da parte l'abituale visione fumettistico-grottesca del mondo yakuza per offrirne una rappresentazione tutta improntata al realismo e alla misura. Legato a filo diretto con la gloriosa tradizione dello yakuza-eiga capitanata da Kinji Fukasaku, di cui riprende la dimensione corale della narrazione e il discorso sulla fine dell'etica e del codice d'onore, il film si riallaccia anche alla sua variante proposta da Takeshi Kitano (Sonatine, 1993, in primis) di cui recupera gli scanzonati e affettuosi rapporti fra i giovani yakuza e la tragica vena poetica sotterranea. La mobilità dei punti di vista dà vita a una continua alternanza di registri che vanno dal distaccato resoconto cronachistico (quando sono in scena trame e giochi di potere) a momenti di malinconica sospensione (che circonda le impalpabili figure femminili), fino alla furente e vorticosa rabbia dell'epilogo che esaspera un canovaccio risaputo fino a farlo deflagrare in un esplosivo finale (ancora una volta il richiamo a Takeshi Kitano e al suo anarchico Boiling Point, 1990). Derivativo, ma la mano di Miike si sente. La versione internazionale è più breve di circa 50 minuti rispetto a quella giapponese di 200 minuti, divisa in due parti e trasmessa in televisione.