In uno sperduto hotel sul mare che pare isolato da tutto, i vari membri di una troupe cinematografica, subissati da mille traversie, anche produttive, coesistono nei modi più diversi in quella che sembra una gabbia di matti.
È il film più metacinematografico di Fassbinder. L'incontenibile regista tedesco si confronta con la propria umorale versione di 8 ½ (1963) di Fellini, partendo dagli eventi reali che investirono la lavorazione di Whity (1970) e che ad essa si sovrapposero: una molteplicità di "fuori di testa", caotica e non inquadrabile, forse più vicina a Effetto notte (1973) di Truffaut. Il film infatti non esisterebbe al di fuori del suo apparato da ronda bizzarra e insana, al di fuori delle strizzate d'occhio continue e del maledettismo allucinato e impazzito che Fassbinder cuce addosso al protagonista Jeff, furibondo e insopportabile, nonché suo alter ego con giubbotto di pelle e facile predisposizione a urlare contro la sua scalcagnata e randagia banda. Un tono pazzoide che per il film è peculiarità ma anche limite ricorrente. In Attenzione alla puttana santa, la sacra sgualdrina è proprio la macchina da presa, presenza divina sul set ma allo stesso tempo implacabile e spietata nel contaminare lascivamente con la finzione ciò che è reale. È un film sulla crudeltà del fare cinema, ma anche sulla quotidianità del set come voracità, perversione, passione malata e irrinunciabile. Di fatto segna il passaggio del regista alla grande stagione del suo cinema, quello prepotentemente consapevole dei propri mezzi, tra attori diretti con sapienza magistrale e movimenti di macchina capaci di incantare con una bellezza voluttuosa ma sempre discreta (come ha evidenziato, tra gli altri, uno dei massimi esperti italiani di Fassbinder, Davide Ferrario).