Cemetery of Splendour
Rak ti Khon Kaen
2015
Paesi
Thailandia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Malesia, Corea del Sud, Messico, Usa, Norvegia
Genere
Drammatico
Durata
122 min.
Formato
Colore
Regista
Apichatpong Weerasethakul
Attori
Jenjira Pongpas
Banlop Lomnoi
Jarinpattra Rueangram
Petcharat Chaiburi
Tawatchai Buawat
In un ospedale allestito in una ex scuola ormai abbandonata, un plotone di soldati vivacchia nel sonno a causa di un malessere misterioso ed enigmatico, insondabile e indecifrabile. Una signora, Jenjira (Jenjira Pongpas), fa amicizia con Keng (Jarinpattra Rueangram), giovane medium che lavora sul posto per connettere i soldati dormienti con le loro famiglie.
Apichatpong Weerasethakul ritorna sui luoghi e i temi tipici del suo cinema impalpabile e colmo di elementi evocativi; in questo caso il regista thailandese, partendo da premesse a metà tra l’esoterico e il magico e sfoggiando una singolare vena compositiva che dà luogo a immagini nitide e potenti, mette in piedi una specie di passeggiata tra le rovine della memoria e della tradizione culturale del proprio paese, filmata con impassibile lucidità e con una luminosa vena elegiaca. Ciò che stupisce è lo sguardo chirurgico e allo stesso tempo avvolgente di un cineasta che non esita a indicare rompicapi impossibili da sciogliere piuttosto che tentare di spiegarli nel modo più semplice e riduttivo possibile, spaziando tra diversi elementi di una messa in scena dalle mille anime: a sequenze di grandissimo impatto formale si alternano infatti lampi quasi onirici, con un disegno delle luci formidabile, silente e inquietante e una serie di immagini primitive e arcane nel loro selvaggio e metafisico naturalismo (la scena dell’ectoplasma). L’autore instaura una connessione profonda tra sonno e perdita della memoria, tra realtà e immaginazione, tra le polverose rovine del presente e le bellezze trascorse di un passato ormai alle spalle. Il suo film, attraverso lo stratagemma di una nevrosi che colpisce nel sonno, evoca un mondo rovesciato abitato da soli fantasmi, nel quale non resta che guardare con occhi strabuzzati i resti di uno scenario naturale violentato dal tempo che passa, ma non scalfito, forse, nella sua purezza originaria. A inficiare il respiro complessivo dell’opera intervengono però dilatazioni eccessive, alcuni ingiustificabili tempi morti e una vena espressiva che si concede più di un passaggio a vuoto e meno ispirato, specialmente nella seconda parte, prima del magnifico finale. Presentato al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard.
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