Tropical Malady
Sud pralad
2004
Paesi
Thailandia, Francia, Germania, Italia
Generi
Drammatico, Fantasy, Sentimentale
Durata
118 min.
Formato
Colore
Regista
Apichatpong Weerasethakul
Attori
Banlop Lomnoi
Sakda Kaewbuadee
Huai Dessom
Sirivech Jareonchon
Keng (Banlop Lomnoi), un soldato, e Tong (Sakda Kaewbuadee), un contadino, sono amanti. Tong però sparisce nel nulla e il suo innamorato va a cercarlo nella foresta, a contatto col volto temibile, misterioso e in fin dei conti quasi sempre ferino della natura. Quella del thailandese Apichatpong Weerasethakul è un'opera che muove da una serenità solo apparente, da una spensieratezza amorosa che sembra vivere di canzonette, di passeggiate in punta di lirismo, di orizzonti da scrutare dalla punta di un muretto. Le melodie pop, ma anche un semplice istante condiviso nella più assoluta pacatezza e poesia, possono rappresentare, per i due protagonisti, un momento di purezza irripetibile. Il film però, diviso in due parti totalmente scollate l'una dall'altra – alla love story dell'inizio si contrappone infatti una feroce immersione nella natura, priva di paraurti – parla di un “malessere tropicale”, come suggerisce il titolo in modo decisamente evocativo. Una vera e propria malattia dell'anima che Apichatpong, capovolgendo i raggi di sole dell'inizio e tramutandoli in squarci d'oscurità, fa albergare in una foresta in cui la crudeltà del regno naturale è sempre sul chi va là. La seconda metà del film dopotutto è costruita come una sinfonia dell'orrore in agguato. Un vero e proprio saggio di regia, estremo e provocatorio, che gioca sui campi lunghi e sull'impassibilità, sull'indifferenza e l'assenza di compassione; al culmine del suo bestiale percorso di sopravvivenza, più che riportarci sulle orme della persona amata dal protagonista, inghiottito da chissà quale demone, ci costringe a fissare l'enigmatico e terrificante sguardo di una gigantesca tigre che sembra quasi una Sfinge. Perché Apichatpong, di fatto, pone solo domande senza dare risposta, gioca in modo smaliziato sul potere dell'immagine, irrita senza compromessi, ipnotizza e infastidisce allo stesso tempo attingendo al bagaglio animista della propria cultura nazionale. Il nitore malinconico delle riprese notturne ne fanno una tappa avanzata della coscienza digitale contemporanea e del cinema moderno, soprattutto in un contesto geografico chiave dello scacchiere internazionale odierno come il Sud-est asiatico. Una consapevolezza che non basta a fare di Tropical Malady un capolavoro, ma che di sicuro ne mette in risalto fascino e valore, accanto all'ossessivo (e penalizzante) compiacimento. Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, dove il regista aveva già vinto nella sezione Un Certain Regard con Blissfully Yours (2002).
Maximal Interjector
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