Memoria
Memoria
2021
Paesi
Gran Bretagna, Colombia, Thailandia, Francia, Germania, Messico
Genere
Drammatico
Durata
136 min.
Formato
Colore
Regista
Apichatpong Weerasethakul
Attori
Tilda Swinton
Jeanne Balibar
Juan Pablo Urrego
Daniel Gimenez Cacho
Jessica (Tilda Swinton) arriva in Colombia dalla Scozia: nel mezzo della natura sudamericana, dopo aver sentito un curioso rumore, inizia ad avere una strana sindrome sensoriale. Giunta a Bogotà per incontrare sua sorella, conosce Agnès, un’archeologa che studia resti umani scoperti in un tunnel in costruzione.

Esordio in lingua inglese per il thailandese Apichatpong Weerasethakul, Memoria è un film che scava nella psiche umana vivendo più di sensazioni che di parole, con le consuete oscillazioni ipnagogiche a cavallo tra il sonno e la veglia care al cinema del cineasta: se sono proprio i momenti più “sensoriali” quelli che affascinano di più e rendono la visione magnetica e misticheggiante al punto giusto, maggiori limiti ci sono quando Apichatpong Weerasethakul si preoccupa troppo della narrazione e di offrire una logica all’esperienza vissuta dal personaggio principale, interpretato egregiamente da una Tilda Swinton ridotta a una presentazione transitoria e indecifrabile (oltre che produttrice esecutiva). Gran parte delle suggestioni proposte si ricollegano direttamente all’ascolto dei suoni (anche in ambito cinematografico e di sound design), tutti misteriosi ed ermetici a cominciare da un tonfo sordo e vigoroso, simile a un raccapricciante boato senza causa e senza origine, che ricorre più volte nell’arco della visione. Ma Memoria è, a conti fatti, soprattutto un film sulla sopravvivenza: oltre che su quella dei ricordi, delle immagini, delle sensazioni uditive e perfino dei resti umani, ritrovati nell’ambito degli scavi per un tunnel, in prima istanza sul sopravvivere rispetto a se stessi, visto che il personaggio della Swinton sembra lei stessa un pesce fuor d’acqua in rapporto alla vita che continua ad abitare con fatica e ai dettagli che la circondano (ha una carta di credito scaduta, ad esempio, e pensa ancora che la propria dentista sia viva, mentre la sorella e il genero sono di avviso opposto). Il risultato è un film che fa il suo dovere, ma ci si poteva aspettare maggiori guizzi e una certa solidità in più da una pellicola dalle premesse tanto ambiziose, che invece riesce a catturare l’attenzione quasi esclusivamente attraverso i consueti tableaux vivants di rara perfezione formale da sempre cari al cinema di Apichatpong: a questo giro somigliano più che mai a delle installazioni quasi museali di potente e irreversibile malinconia, nelle quali è possibile rimanere ad ascoltare per diversi minuti, senza stacchi e con inquadrature dal montaggio interno, il rumore dei ruscelli, o in alternativa, a volersi impegnare, lasciar fluttuale il proprio sguardo appresso al fruscio ondeggiante, lento e inesorabile, delle foglie degli alberi, anch’essi depositari probabilmente di chissà quali e quanti residuati metafisici del passato. Decisamente rivedibile, invece, la svolta finale, in cui le metafore si fanno troppo esplicite nei dialoghi, citando oggetti d’archivio o dispositivi di rilevamento come gli hard disk e le antenne, e c’è una svolta “aliena” (peraltro in CGI!) che dice molto dell’esperienza di un cineasta che lontano dai propri luoghi natii dà l’idea di essersi sentito come sradicato e di aver girato un po’ a vuoto nel coccolare il proprio ostentato manierismo, stavolta drammaticamente prossimo al circuito chiuso nonostante i (non pochi) spunti disseminati nel corso della visione. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2021.
Maximal Interjector
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