Scivolata nell'oblio dopo un'infanzia da enfant prodige, l'alcolizzata e instabile Jane Hudson (Bette Davis) tormenta la sorella Blanche (Joan Crawford), ex stella del cinema costretta al ritiro a causa di un incidente e della conseguente paralisi alle gambe. L'incontro con il pianista Edwin Flagg (Victor Buono) spinge Jane a progettare un utopico ritorno in scena: la disillusione scatena una follia che condurrà alla tragedia.
Robert Aldrich mette in scena l'omonimo romanzo di Henry Farrell (adattato da Lukas Heller), realizzando un thriller-drama dagli agghiaccianti risvolti orrorifici e psicanalitici. L'ambientazione claustrofobica (la dimora delle Hudson appare pietrificata e tesa a un passato ormai irraggiungibile, arrivando a metaforizzare l'immobilismo emozionale di Jane e quello fisico di Blanche) accentua le dinamiche alienanti delle protagoniste, impegnate in uno sfibrante gioco al massacro: le pulsioni distruttive diventano il centro assoluto della narrazione, enfatizzate da un climax di crudeltà a tratti insostenibile (le brutali sevizie ai danni della paralitica Blanche, costretta a difendersi dalla pazzia di una sorella sempre più violenta e aggressiva). Caratterizzazioni puntuali e disturbanti, interpretazioni straordinarie (Aldrich sfrutta furbescamente la reale antipatia tra Bette Davis e Joan Crawford), tensione crescente (notevole il contributo di un montaggio serrato, ad opera di Michael Luciano) e sequenze memorabili (l'esibizione della sfatta e patetica Jane sulle note di I've Written A Letter To Daddy): una riflessione non banale sulla degenerazione mentale, nonché sulle derive del divismo e dello Star System. Il finale, in ogni caso, è da antologia. Presentato in concorso al Festival di Cannes. Cinque nomination e un Oscar ai costumi di Norma Koch.