Franz Biberkopf (Rainer Werner Fassbinder), detto Fox, rimane disoccupato e la sua vita sentimentale va a rotoli. Una vincita insperata pare risollevarlo, e trova perfino un nuovo amore, ma l'idillio non dura a lungo e Fox si ritrova in solitudine e in condizioni di totale indigenza.
Un film bersagliato all'epoca da più di una polemica, soprattutto da parte della comunità omosessuale, che mal lo digerì neanche avesse al suo interno la problematica e convulsa iconografia gay di Cruising (1980) di William Friedkin. In realtà, più che un film queer, Il diritto del più forte è un prodotto crudelissimo e allo stesso tempo cristallino nel suo pessimismo, che affronta le strutture del capitalismo e le loro implicazioni con mano sicura, parlando in maniera furiosa e profonda del conflitto di classe come ostacolo verso l'autenticità degli impulsi umani. Il denaro è il solo motore del mondo, che orienta il valzer degli affetti, e che riduce i sentimenti a un semplice corredo per uomini che sembrano burattini utilitaristi, sordi ai battiti del cuore. Un film a suo modo deleuziano: nel marxismo, come nel freudismo rappresentato da impulsi sessuali così forti da offuscare qualsiasi ragione che non sia quella dei sensi. Non c'è nulla di eversivo, ma tutto serve a ricompattare un ordine sociale che, per la visione realista di Fassbinder, è sempre appannaggio del più forte, che nel mondo contemporaneo è rappresentato dal più abbiente. E l'amore, con queste premesse, è solo un invischiarsi masochistico in questioni spiacevoli e poco convenienti. Il risultato è l'annichilimento dell'uomo, sotto tutti i punti di vista, simboleggiato peraltro da uno dei finali più notevoli di tutto il cinema del regista tedesco. La scelta di Fassbinder di interpretare direttamente il protagonista tradisce un coinvolgimento emotivo non da poco, sia nella storia che nella spinta metaforica del film.