Dolce
Dolce
2000
Paesi
Russia, Giappone
Generi
Drammatico, Documentario
Durata
61 min.
Formato
Colore
Regista
Alexandr Sokurov
Omaggio alla figura dello scrittore giapponese Toshio Shimao in chiave di trasfigurata visione poetica. Sua moglie Miho ne evoca il ricordo, in un faticoso processo di elaborazione della malattia mentale e del dolore per la figlia malata.
Gran parte delle elegie, tasselli di un articolato mosaico di suggestioni disseminati attraverso la filmografia di Sokurov, rintracciano figure e valori fondanti della cultura russa. Una parte di queste crea ponti tra la storia e l'arte russa con quella di altri paesi europei, alla ricerca delle radici profonde di un'antica civiltà transnazionale europea. Nel trittico composto da Elegia orientale (1996), Una vita umile (1997) e Dolce lo sguardo di Sokurov si apre al Giappone, paese anch'esso non privo di contiguità storiche e affinità culturali con la Russia. Dopo un breve prologo didascalico, che attraverso un commento e una serie di fotografie ricostruisce la vita di Shimao, l'elegia si condensa come nebbia rarefatta in un indefinibile territorio a metà strada tra documentario e finzione. Quelle che vediamo recitare sullo schermo non sono attrici ma la moglie e la figlia dello scrittore. Negli strazianti monologhi della prima, che occupano le due sequenze più lunghe del mediometraggio, vibra tutto il lacerante dolore che ha segnato la famiglia dello scrittore. Molto particolare il formato video in cui il film è girato, un rettangolo verticale che sembra evocare i tasselli del disegno classico giapponese Ukiyo-e. Notevole.
Gran parte delle elegie, tasselli di un articolato mosaico di suggestioni disseminati attraverso la filmografia di Sokurov, rintracciano figure e valori fondanti della cultura russa. Una parte di queste crea ponti tra la storia e l'arte russa con quella di altri paesi europei, alla ricerca delle radici profonde di un'antica civiltà transnazionale europea. Nel trittico composto da Elegia orientale (1996), Una vita umile (1997) e Dolce lo sguardo di Sokurov si apre al Giappone, paese anch'esso non privo di contiguità storiche e affinità culturali con la Russia. Dopo un breve prologo didascalico, che attraverso un commento e una serie di fotografie ricostruisce la vita di Shimao, l'elegia si condensa come nebbia rarefatta in un indefinibile territorio a metà strada tra documentario e finzione. Quelle che vediamo recitare sullo schermo non sono attrici ma la moglie e la figlia dello scrittore. Negli strazianti monologhi della prima, che occupano le due sequenze più lunghe del mediometraggio, vibra tutto il lacerante dolore che ha segnato la famiglia dello scrittore. Molto particolare il formato video in cui il film è girato, un rettangolo verticale che sembra evocare i tasselli del disegno classico giapponese Ukiyo-e. Notevole.
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