Estate '85
Été 85
2020
Paesi
Francia, Belgio
Genere
Drammatico
Durata
100 min.
Formato
Colore
Regista
François Ozon
Attori
Félix Lefebvre
Benjamin Voisin
Philippine Velge
Valeria Bruni Tedeschi
Melvil Poupaud
Nell’estate del 1985, l’estate dei suoi sedici anni, mentre si trova in vacanza in una cittadina balneare sulle coste della Normandia, un giorno Alexis (Felix Lefebvre) si salva dall’annegamento grazie a un atto eroico del diciottenne David (Benjamin Voisin): Alexis ha appena incontrato l’amico che ha sempre sognato di avere. Ma questo sogno realizzato riuscirà a durare più di un’estate?
A partire dal romanzo Danza sulla mia tomba dello scrittore inglese Aidan Chambers, François Ozon, anche autore dell’adattamento della sceneggiatura, realizza un capitolo particolarmente sentito e personale della sua filmografia, da sempre multiforme, irregolare ed eclettica nelle tonalità narrative ed estetiche e nei soggetti scelti. In questo caso, il cineasta francese si rivolge a un romanzo letto all’età di diciassette anni, in cui aveva rintracciato l’adolescente che sentiva di essere a quel tempo e che ha sempre sognato di portare al cinema. Forte dell’assenza di qualsivoglia adattamento americano concepito nel frattempo, Ozon si cimenta con una trasposizione fedele al testo di partenza, ma ambientandola nella sua Francia e trasferendola all’epoca, la metà degli anni ’80, in cui il regista aveva letto il libro. Racconto dell’amicizia solo sulla carta eterna tra due giovani (in Italia il volume è noto col titolo Un amico per sempre), incline a sfociare in un’attrazione fisica e in una dipendenza emotiva di Alexis nei confronti di David dai risvolti lugubri e fatali, Estate '85 può apparire molto simile nelle premesse al di poco precedente Chiamami col tuo nome (2017), ma rispetto al film di Guadagnino questo racconto collocato nel cuore degli eighties non è permeato dall’incanto e dal continuo rimando del desiderio erotico ma da un legame incestuoso e fatale tra amore e Morte, con quest’ultima a svettare in maiuscolo fin dalle prime battute della sceneggiatura. Si allude infatti al rapporto maledetto tra Rimbaud e Verlaine, ricorrendo a slanci di poesia che arrivano dall’inferno dell’anima, a un appagamento devoto dei sensi che coincide con lo sfregio consapevole della propria giovinezza, a vasche che sembrano sarcofagi e urne funerarie. Anche i momenti più sensuali e levigati sul piano della fisicità sono permeati da un senso di immediatezza fulmineo, oscuro e rapace, nel quale Eros e Thanatos mostrano tutta la loro reciproca porosità. La sensazione generale, nonostante l’eleganza vintage della confezione, le belle prove degli interpreti e l’eleganza torbida di Ozon, è che i risvolti noir siano molto calati dall’alto, con una rigidità del sottotesto a tinte forti che, come accaduto in passato a questo regista, diventa col passare dei minuti un po’ artificiosa e pretestuosa, con la voce fuori campo di Alexis a scandire gli ingressi in scena come nelle didascalie di una tragedia greca. Difficile anche, alla luce di tale schematismo, affezionarsi davvero ai protagonisti, segnati da bellezze abbaglianti ma di segno opposto (angelica e neoclassica una, selvaggia e riottosa l’altra), e non leggere la loro storia come il vettore di un naufragio pensato a tavolino e consumato su acque limacciose. Gli elementi degni di nota però non mancano: dall’ambientazione in quella Normandia già cara al cinema Rohmer, dalle spiagge e i colori irripetibili, alla scena in discoteca che si rifà esplicitamente a Il tempo delle mele (1980) - uno degli omaggi più belli mai resi al film - passando per le riflessioni sulle idealizzazioni mendaci di tante infatuazioni e sulla necessità di “sfuggire alla propria storia” (e dunque al proprio Fato) per affermare se stessi o quantomeno ipotizzare una nuova narrazione di sé. Molto sfaccettati e riusciti nonostante la minor presenza in scena, oltre che dai giri e i battiti più umani, anche i personaggi femminili, dalla madre svampita, sessualmente gioviale ma segnata dal lutto interpretata da Valeria Bruni Tedeschi alla deliziosa e dolce ragazza inglese Kate, che ha il volto sorprendente della semi-esordiente Philippine Velge. Nella ricca colonna sonora d’epoca si segnalano In Between Days dei Cure, Cruel Summer delle Bananarama, Sailing di Rod Stewart e Self Control di Raf. Inserito nella Selezione Ufficiale del Festival di Cannes nel 2020, anno in cui l’evento non si è svolto e dove verosimilmente avrebbe figurato in Concorso, e presentato in seguito alla Festa del Cinema di Roma.
A partire dal romanzo Danza sulla mia tomba dello scrittore inglese Aidan Chambers, François Ozon, anche autore dell’adattamento della sceneggiatura, realizza un capitolo particolarmente sentito e personale della sua filmografia, da sempre multiforme, irregolare ed eclettica nelle tonalità narrative ed estetiche e nei soggetti scelti. In questo caso, il cineasta francese si rivolge a un romanzo letto all’età di diciassette anni, in cui aveva rintracciato l’adolescente che sentiva di essere a quel tempo e che ha sempre sognato di portare al cinema. Forte dell’assenza di qualsivoglia adattamento americano concepito nel frattempo, Ozon si cimenta con una trasposizione fedele al testo di partenza, ma ambientandola nella sua Francia e trasferendola all’epoca, la metà degli anni ’80, in cui il regista aveva letto il libro. Racconto dell’amicizia solo sulla carta eterna tra due giovani (in Italia il volume è noto col titolo Un amico per sempre), incline a sfociare in un’attrazione fisica e in una dipendenza emotiva di Alexis nei confronti di David dai risvolti lugubri e fatali, Estate '85 può apparire molto simile nelle premesse al di poco precedente Chiamami col tuo nome (2017), ma rispetto al film di Guadagnino questo racconto collocato nel cuore degli eighties non è permeato dall’incanto e dal continuo rimando del desiderio erotico ma da un legame incestuoso e fatale tra amore e Morte, con quest’ultima a svettare in maiuscolo fin dalle prime battute della sceneggiatura. Si allude infatti al rapporto maledetto tra Rimbaud e Verlaine, ricorrendo a slanci di poesia che arrivano dall’inferno dell’anima, a un appagamento devoto dei sensi che coincide con lo sfregio consapevole della propria giovinezza, a vasche che sembrano sarcofagi e urne funerarie. Anche i momenti più sensuali e levigati sul piano della fisicità sono permeati da un senso di immediatezza fulmineo, oscuro e rapace, nel quale Eros e Thanatos mostrano tutta la loro reciproca porosità. La sensazione generale, nonostante l’eleganza vintage della confezione, le belle prove degli interpreti e l’eleganza torbida di Ozon, è che i risvolti noir siano molto calati dall’alto, con una rigidità del sottotesto a tinte forti che, come accaduto in passato a questo regista, diventa col passare dei minuti un po’ artificiosa e pretestuosa, con la voce fuori campo di Alexis a scandire gli ingressi in scena come nelle didascalie di una tragedia greca. Difficile anche, alla luce di tale schematismo, affezionarsi davvero ai protagonisti, segnati da bellezze abbaglianti ma di segno opposto (angelica e neoclassica una, selvaggia e riottosa l’altra), e non leggere la loro storia come il vettore di un naufragio pensato a tavolino e consumato su acque limacciose. Gli elementi degni di nota però non mancano: dall’ambientazione in quella Normandia già cara al cinema Rohmer, dalle spiagge e i colori irripetibili, alla scena in discoteca che si rifà esplicitamente a Il tempo delle mele (1980) - uno degli omaggi più belli mai resi al film - passando per le riflessioni sulle idealizzazioni mendaci di tante infatuazioni e sulla necessità di “sfuggire alla propria storia” (e dunque al proprio Fato) per affermare se stessi o quantomeno ipotizzare una nuova narrazione di sé. Molto sfaccettati e riusciti nonostante la minor presenza in scena, oltre che dai giri e i battiti più umani, anche i personaggi femminili, dalla madre svampita, sessualmente gioviale ma segnata dal lutto interpretata da Valeria Bruni Tedeschi alla deliziosa e dolce ragazza inglese Kate, che ha il volto sorprendente della semi-esordiente Philippine Velge. Nella ricca colonna sonora d’epoca si segnalano In Between Days dei Cure, Cruel Summer delle Bananarama, Sailing di Rod Stewart e Self Control di Raf. Inserito nella Selezione Ufficiale del Festival di Cannes nel 2020, anno in cui l’evento non si è svolto e dove verosimilmente avrebbe figurato in Concorso, e presentato in seguito alla Festa del Cinema di Roma.
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