The Hole – Il buco
Dong
1998
Paesi
Taiwan, Francia
Generi
Drammatico, Musical
Durata
95 min.
Formato
Colore
Regista
Tsai Ming-liang
Attori
Lee Kang-sheng
Yang Kuei-Mei
Miao Tien
A sette giorni dall'arrivo dell'anno 2000, la città di Taiwan è stata messa in quarantena perché infestata da un misterioso virus che porta i suoi abitanti a impazzire e nascondersi dalla luce. In un edificio ormai quasi completamente evacuato vivono un uomo (Lee Kang-sheng) e una donna (Yang Kuei-Mei) che non si conoscono: il primo al piano di sopra, la seconda al piano di sotto. Un buco lasciato aperto da un idraulico nel pavimento dell'uomo porta i due a una conoscenza forzata.
Tetro incubo kafkiano dalle tinte apocalittiche, il film del malese Tsai Ming-liang nasce come parte del progetto 2000 vu par..., coprodotto dalla Haut et Court e dalla rete televisiva La Sept Arte, in cui dieci diversi registi affrontano in altrettanti lungometraggi il tema dell'imminente cambio di millennio. Componendo un racconto fortemente allegorico, Tsai torna a riflettere ancora una volta di più sull'alienazione dell'uomo moderno, schiavo della solitudine e irrimediabilmente smarrito nell'anonimato urbano: dalla pioggia copiosa e incessante ai misteriosi uomini-scarafaggio, dagli angoscianti bollettini televisivi al condominio deserto, allagato e marcescente, ogni elemento si carica, fino alla saturazione, di significati simbolici; buco compreso, fulcro e motore dell'intera vicenda i cui connotati sessuali appaiono più che manifesti. Giunto al suo quarto lungometraggio, Tsai Ming-liang dipinge, più pessimista che mai, una Taipei da incubo, avamposto inquietante di un mondo in disfacimento, claustrofobico e ormai invivibile: ma ecco che, proprio in quello che si presenta come il suo film più cupo e terminale, irrompono improvvisamente una serie di elementi di assoluta novità nel cinema del regista, come le gioiose e colorate coreografie sulle canzoni di Grace Chang, diva dei musical hongkonghesi anni Cinquanta, qui omaggiata con struggente nostalgia, oppure lo speranzoso finale. Questa volta, però, la riflessione che ne scaturisce accusa il peso di metafore troppo scoperte e ripetute, e se inizialmente i balletti musicali introducono un'originale nota di vivacità nella pellicola, alla lunga si fanno prevedibili e finiscono per risultare stucchevoli. Presentato in concorso al Festival di Cannes 1998.
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