Fuggito dal Foshan in fin di vita e rifugiatosi a Hong Kong, il maestro Ip Man (Donnie Yen) viene raggiunto dalla famiglia e, tra mille difficoltà, apre la sua scuola di kung fu. Osteggiato dagli altri maestri, l'uomo si guadagno il loro rispetto, ma una drammatica sfida di box, organizzata dai colonizzatori inglesi, lo costringe a mettere la sua arte a confronto con lo stile di combattimento occidentale.

Forte dell'incredibile successo commerciale del primo film, Wilson Yip e Donnie Yen si riuniscono per Ip Man 2 aggiungendo al cast anche Sammo Hung, che aveva precedentemente lavorato con gli altri due nel nerissimo SPL (2005). Nonostante un parco attori riconfermato, ma anche qualitativamente allargato, gli aspetti positivi e quelli negativi sono gli stessi del film precedente: tutto il comparto action è curatissimo (si pensi al funambolico scontro tra Donnie Yen e Sammo Hung), ma la storia, biografica solo sulla carta, a conti fatti punta su un ritratto piuttosto semplicistico delle parti coinvolte, con i cinesi buoni e gli inglesi cattivi. Questi ultimi, rispetto ai giapponesi del primo film, sono ritratti in maniera quasi macchiettistica: una forzatura alla quale difficilmente ci si aspettava di assistere in un lungometraggio della prima decade dei 2010. Nel finale, pecca anche la componente action, dove il combattimento sembra arrivare da un film sul pugilato americano piuttosto che da uno d'arti marziali cinese. Fortunatamente, però, il ritmo si mantiene discreto e Donnie Yen si conferma perfetto per la parte.