La ragazza di Stillwater
Stillwater
2021
Paese
Usa
Generi
Thriller, Drammatico
Durata
140 min.
Formato
Colore
Regista
Thomas McCarthy
Attori
Matt Damon
Abigail Breslin
Camille Cottin
Deanna Dunagan
Ginifer Ree
Bill Baker (Matt Damon), operaio petrolifero dell'Oklahoma, arriva a Marsiglia per stare vicino alla figlia Allison (Abigail Breslin), da cinque anni in carcere dopo la condanna per un omicidio che dice di non aver commesso. Nel tentativo di dimostrare l'innocenza della figlia, Bill, frenato dalle incomprensioni linguistiche e culturali, s'imbatte nell'attrice Virginie (Camille Cottin), dalla quale si fa aiutare per traduzioni e ricerche. Poco alla volta l'uomo ritrova il rapporto con Allison, alla quale fa spesso visita in carcere, e avvia una relazione con Virginie e la figlia Maya (Lilou Siauvaud), nella quale vede l'occasione per redimersi dalle sue mancanze di padre. L'ossessione per il destino della figlia, però, rischia di mettere a repentaglio la sua nuova vita.
Il regista Tom McCarthy, premio Oscar per la sceneggiatura de Il caso Spotlight (2015), con La ragazza di Stillwater mette a segno un altro “racconto americano” con al centro un uomo in apparenza granitico e d’un pezzo ma dagli inaspettati risvolti tanto ruvidi quanto fragili e bonari. Un carattere ben incarnato da un Damon al suo meglio, molto volenteroso nonché incline a forzare la sua consueta maschera da uomo medio a stelle e strisce verso sfumature mimiche più sottili e sofferte, specie rispetto alla tradizionale media delle sue interpretazioni. Con un passato da alcolizzato e una morte suicida, Bill è sulla carta un perdente, ma ha comunque continuato ad andare avanti dedicandosi a una solida cultura del lavoro e della fatica, che sembra riscattarlo dalle secche di un’esistenza segnata in profondità da tragedie diffuse e impietose. La ragazza di Stillwater provvede però a mettere il suo protagonista in un contesto alieno, spostandolo in Francia e senza produrre alcun pietismo: questo sfasamento geografico rende il film, inevitabilmente, anche un’indagine sullo sguardo di un americano su un paese europeo in seno a un racconto mainstream, con tutto ciò che ne può derivare in termini di estraneità e mancanza di terra sotto i piedi. Se la prima parte della sceneggiatura segue delle traiettorie più canoniche e anodine da procedural classico, andando a segno solo a corrente alterna, è il secondo blocco del copione a regalare qualche scarto in più, salendo inesorabilmente di livello: il passo investigativo lascia il posto infatti a elementi tanto romantici quanto thriller, ispessendo l’esplorazione del rapporto di Bill con la figlia ma anche la riflessione sui confini morali oltre i quali può spingersi l’individuo qualunque per ottenere ciò che vuole in termini di giustizia, verità e idealismo fallace. Non manca qualche stereotipo di troppo, specie nella contrapposizione tra il repubblicano Bill (che però non ha votato Trump, ma alle elezioni presidenziali del 2016 si è astenuto) e la progressista francofona Virginie, ma dove il film scalda il cuore è soprattutto nel delicato sviluppo drammaturgico di un nuovo nucleo familiare affettuoso e coeso, che finisce col fare a pugni in modo stimolante e dialettico coi tanti chiaroscuri della vicenda. Anche il finale, tenue ed essenziale in continuità con quanto l’ha preceduto, allude esplicitamente alla contrapposizione tra immobilità e cambiamento e alla necessità di essere in grado di guardare dentro se stessi con rinnovata fiducia, a prescindere da dove ci si trovi e dagli spazi angusti per sviluppare la propria personale pace interiore. Il regista ha detto di essersi ispirato, in partenza, al noto caso giudiziario del delitto di Perugia e alle figure di Meredith Kercher e Amanda Knox, ma di essersi poi sganciato da richiami diretti all’omicidio. Presentato Fuori Concorso al Festival di Cannes 2021.
Il regista Tom McCarthy, premio Oscar per la sceneggiatura de Il caso Spotlight (2015), con La ragazza di Stillwater mette a segno un altro “racconto americano” con al centro un uomo in apparenza granitico e d’un pezzo ma dagli inaspettati risvolti tanto ruvidi quanto fragili e bonari. Un carattere ben incarnato da un Damon al suo meglio, molto volenteroso nonché incline a forzare la sua consueta maschera da uomo medio a stelle e strisce verso sfumature mimiche più sottili e sofferte, specie rispetto alla tradizionale media delle sue interpretazioni. Con un passato da alcolizzato e una morte suicida, Bill è sulla carta un perdente, ma ha comunque continuato ad andare avanti dedicandosi a una solida cultura del lavoro e della fatica, che sembra riscattarlo dalle secche di un’esistenza segnata in profondità da tragedie diffuse e impietose. La ragazza di Stillwater provvede però a mettere il suo protagonista in un contesto alieno, spostandolo in Francia e senza produrre alcun pietismo: questo sfasamento geografico rende il film, inevitabilmente, anche un’indagine sullo sguardo di un americano su un paese europeo in seno a un racconto mainstream, con tutto ciò che ne può derivare in termini di estraneità e mancanza di terra sotto i piedi. Se la prima parte della sceneggiatura segue delle traiettorie più canoniche e anodine da procedural classico, andando a segno solo a corrente alterna, è il secondo blocco del copione a regalare qualche scarto in più, salendo inesorabilmente di livello: il passo investigativo lascia il posto infatti a elementi tanto romantici quanto thriller, ispessendo l’esplorazione del rapporto di Bill con la figlia ma anche la riflessione sui confini morali oltre i quali può spingersi l’individuo qualunque per ottenere ciò che vuole in termini di giustizia, verità e idealismo fallace. Non manca qualche stereotipo di troppo, specie nella contrapposizione tra il repubblicano Bill (che però non ha votato Trump, ma alle elezioni presidenziali del 2016 si è astenuto) e la progressista francofona Virginie, ma dove il film scalda il cuore è soprattutto nel delicato sviluppo drammaturgico di un nuovo nucleo familiare affettuoso e coeso, che finisce col fare a pugni in modo stimolante e dialettico coi tanti chiaroscuri della vicenda. Anche il finale, tenue ed essenziale in continuità con quanto l’ha preceduto, allude esplicitamente alla contrapposizione tra immobilità e cambiamento e alla necessità di essere in grado di guardare dentro se stessi con rinnovata fiducia, a prescindere da dove ci si trovi e dagli spazi angusti per sviluppare la propria personale pace interiore. Il regista ha detto di essersi ispirato, in partenza, al noto caso giudiziario del delitto di Perugia e alle figure di Meredith Kercher e Amanda Knox, ma di essersi poi sganciato da richiami diretti all’omicidio. Presentato Fuori Concorso al Festival di Cannes 2021.
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