La vita che verrà – Herself
Herself
2020
Paesi
Gran Bretagna, Irlanda
Genere
Drammatico
Durata
97 min.
Formato
Colore
Regista
Phyllida Lloyd
Attori
Clare Dunne
Harriet Walter
Conleth Hill
Molly McCann
Ruby Rose O'Hara
Cathy Belton
Ian Lloyd Anderson
Sandra (Clare Dunne) se ne va di casa, con le sue due bambine, il giorno che suo marito Gary (Ian Lloyd Anderson) scopre che stava mettendo da parte dei soldi per farlo. Quel giorno lui la prende a calci e pugni, le tira i capelli, la butta a terra e le rompe una mano. Dopodiché, l'uomo continua a vedere le figlie nei weekend, ma Sandra è una donna intelligente e, anche se lui la incalza, si tiene alla larga. Poi, un giorno, tra un lavoro di fatica e un altro, mentre cerca un alloggio che non trova, Sandra vede il video di un uomo che si è costruito una casa da solo, ad un costo molto contenuto, e comincia a pensare di fare lo stesso.

Phyllida Lloyd, già regista di Mamma mia! e The Iron Lady, si concede un’altra sortita dietro la macchina da presa in cui la protagonista è una presenza femminile molto ingombrante, ma stavolta il taglio è decisamente diverso dai film precedenti. Rispetto al musical gioioso con le canzoni degli ABBA e al biopic sulla spigolosa figura di Margaret Thatcher, la regista sceglie in questo caso un taglio civile per raccontare la storia di una donna vessata da un marito violento e chiamata, allo stesso tempo, a sbarcare il lunario solo con le sue forze, come suggerisce il titolo originale Herself. Quello della cineasta britannica, attiva anche a teatro, è un film dalla vocazione riottosa e operaia, sulla scorta della lezione del Ken Loach più umanista. Il timbro della narrazione è pudico e sussurrato, gli apici di frustrazione e abbandono sono smussati da un approccio sobrio e asciutto e non si registrano particolari strepiti. Se la messa in scena non regala alcun picco degno di nota, acquattandosi in maniera talvolta un po’ didascalica dietro un grigiore qua e là asettico ma mai sterile, a rubare la scena è l’ottima attrice protagonista, Clare Dunne, alle prese con una prova di grande sensibilità e misura. Il bisogno di erigere con le stesse mani una casa autonoma può apparire parimenti schematico e troppo letterale come metafora, per non parlare dell’ecumenismo eccessivo di alcuni personaggi di contorno, ma la spontaneità e il senso di vicinanza umana, onestà e schiettezza con cui sono gestite molte scene, dalle più coinvolgenti (come quella sulle note di Chandelier di Sia) alle più dolenti lascia sicuramente il segno e rinverdisce la tradizione del miglior cinema inglese. Presentato nella sezione Alice nella città della Festa del cinema di Roma 2020.
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