Il megalomane Hugo Drax (Michael Lonsdale) intende sterminare il genere umano, dopo aver trasportato su una stazione orbitante nello spazio centinaia di giovani coppie scelte, che dovranno dare vita a una nuova stirpe di “eletti”, secondo una deviata rivisitazione dell'Arca di Noè. James Bond (Roger Moore), in coppia con l'agente della CIA Holly Goodhead (Lois Chiles), sventerà la minaccia incombente.
Cavalcando il successo di Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) e Guerre stellari (1977), l'undicesimo capitolo della serie di 007 esaspera i toni fanta-spionistici e, mantenendosi ben poco fedele al bellissimo romanzo di Ian Fleming Il grande slam della morte (1954) a cui si ispira, cerca di intercettare il desiderio di evasione di un pubblico ammaliato dalla sci-fi postmoderna. L'operazione (spazio) non può dirsi pienamente riuscita, però. In primis perché il plot ricalca in modo troppo pedestre quello del film precedente, La spia che mi amava (1977), riproponendone i medesimi sviluppi narrativi (la coppia di agenti uomo/donna, i rigidi spostamenti alla ricerca del villain, la finalità del piano diabolico) e, in secondo luogo, perché l'abuso di effetti speciali e di congegni del reparto Q (la gondola “personalizzata a Venezia, il motoscafo dalle mille risorse, l'orologio-bomba) offuscano il consueto charme del protagonista. Girato tra Inghilterra, Italia, Francia, Brasile e Guatemala, sembra più un catalogo Alpitour che un film di azione. A risollevare le sorti della pellicola, ci pensano il mago delle scenografie Ken Adam (straordinario il set nello spazio, così come il bunker di Drax in sudamerica) e uno spiritoso Roger Moore capace di iniettare consistenti dosi di umorismo alla vicenda. Per apprezzarne la smaccata inverosimiglianza, Moonraker è da interpretare come un innocuo divertissement che tradisce (in parte) lo spirito di James Bond allo scopo di stupire a tutti i costi.