La cittadina di Centerville vede la propria tranquilla quotidianità sconvolta da una improvvisa apocalisse zombie. Non sarà facile per il commissario Cliff Robertson (Bill Murray) e gli agenti Ronald Peterson (Adam Driver) e Minerva Morrison (Chloë Sevigny) gestire questa surreale situazione senza creare il panico tra gli abitanti.
Ripercorrendo quella poetica minimale che, ad esempio, in Paterson (2016) aveva raggiunto una perfezione tematica e formale di livello assoluto, Jim Jarmusch torna nella provincia americana per mettere in scena una commedia horror il cui potenziale, soprattutto nella possibilità di riflettere sulla contemporaneità, rimane in parte inespresso. La consueta profondità di sguardo dell’autore nell'indagare gli aspetti meno superficiali della realtà suburbana sembrano ricalcare soluzioni adottate già con maggiore freschezza in passato (si pensi alla Detroit post-apocalittica del magnifico Solo gli amanti sopravvivono del 2013), e il sarcasmo nel rendere una macabra invasione, che segue in maniera fin troppo calligrafica i codici dello zombie-movie, si regge su trovate episodiche e, spesso, autoconclusive. Il quadro generale, in termini di scrittura, restituisce costantemente l'idea di trovarsi di fronte a una raccolta di situazioni che faticano a integrarsi tra loro, anche per la massima cautela con cui Jarmusch prova a spaziare tra i generi. L'aspetto strettamente parodico, nonostante alcune battute fulminanti (a cominciare dagli zombie a caccia di caffè, chardonnay, Xanax e…wi-fi), colpisce nel segno solo a tratti, e l'interazione tra vivi e "non-morti" fatica a essere il volano per generare originali intuizioni legate ad alcune problematiche di stringente attualità come il razzismo trumpiano, i rapporti degli USA col Messico e il cambiamento climatico. La dimensione politica, la critica al consumismo e la satira verso le idiosincrasie contemporanee, infatti, si manifestano con efficacia solo a corrente alternata, guardando senza troppa originalità e con un approccio decisamente vetusto alla lezione di George Romero: la sensazione è che avrebbero potuto acquisire maggiore dinamismo in relazione all'approfondimento di alcuni gustosi personaggi secondari (la misteriosa Zelda interpretata da Tilda Swinton, l'eremita Bob di Tom Waits, l'archetipico americano pro-Trump a cui presta il volto Steve Buscemi). Il clima di perenne stasi in cui è calata la vicenda, si rispecchia nell'attitudine con cui svolgono il proprio lavoro Robertson e Peterson, interpretati in maniera fin troppo catatonica da Bill Murray e Adam Driver, i cui siparietti e tempi comici faticano a colpire nel segno e a guadagnare brio e dinamismo (ben più divertente è la breve sequenza con Iggy Pop nei panni di un morto vivente in cerca di caffè, con una chiara citazione al cult Coffe and Cigarettes). Complessivamente ne risulta un film piuttosto innocuo (vittima, inoltre, di una parte finale ben poco riuscita), per quanto non manchino preziose suggestioni sonore e visive e le atmosfere surreali di Jarmusch siano sempre affascinanti, ma da un regista straordinario come lui era lecito aspettarsi molto di più. Film di apertura, in concorso, al Festival di Cannes 2019.