Phantosmia
Phantosmia
2024
Paese
Filippine
Genere
Drammatico
Durata
245 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Lav Diaz
Attori
Ronnie Lazaro
Janine Gutierrez
Paul Jake Paule
Hazel Orencio
L’ex sergente Hilarion Zabala (Ronnie Lazaro), dalla carriera macchiata da crimini e abusi di potere, soffre di allucinazioni olfattive. Per provare a curare il suo disturbo rientra nelle forze militari, con un posto di guardia in una remota colonia penale. Lì, si interessa al dramma della giovane Reyna (Janine Gutierrez), ragazza costretta dalla madre a prostituirsi, e si impegnerà per salvarla.

Lav Diaz, sempre fedelissimo a sé stesso, eppure sempre capace di evitare di ripetersi stancamente, torna fuori concorso a Venezia con un ennesimo film dalla narrazione fluviale, che alterna le storie di Hilarion e di Reyna fino al loro incontro, momento in cui le due trame iniziano a proseguire unitamente, interagendo sempre più tra loro pur mantenendo una propria indipendenza. L’ottima scrittura dei personaggi fa immergere completamente lo spettatore nelle oltre quattro ore di durata, che non pesano mai grazie al grande controllo che Diaz ha su sceneggiatura e regia. Entrambe regalano ottimi momenti di cinema, ma a non farsi dimenticare sono soprattutto le scene ambientate nella foresta (dietro alla cui bellezza si nascondono tutte le brutture dell’uomo) e lo splendido finale, grande e liberatoria boccata d’aria dopo ore di crudezza e sofferenza. Il film si arrovella sul tema della violenza storica delle Filippine, che si sta ripetendo nella colonia penale dell’isola di Pulo. Hilarion, da militare intransigente e violento, inizia a disprezzare i soprusi delle forze armate a causa del disturbo olfattivo che gli rende ripugnante ogni cosa, portandolo ad affrontare la violenza del potere (militare certo, ma anche quello presente nel contesto familiare) pur di trovare sollievo dall’olezzo che pervade la sua vita e che è ovviamente (ma non banalmente) simbolo del suo passato sanguinario che non può più ignorare e che è costretto a mettere in discussione. C’è anche spazio per un passato ancora più remoto, attraverso la figura costantemente richiamata per tutto il film del mitico Haring Musang, re dei gatti selvatici. Eppure anche questa ricerca porta alla morte, perché effettuata per scopi di caccia e non di preservazione, e pure le poesie che vengono declamate da un poeta di passaggio non possono che essere funeree. Lo sguardo di Diaz verso il proprio paese è quindi nuovamente pessimistico e ferale, ma speranzoso a un tempo. Ecco che il personaggio di Reyna si fa quindi portavoce di una rinascita, lei che deve imparare a “parlare e lottare” secondo le parole di Hilarion, di un paese sfruttato e martoriato che però non ha perso la forza di reagire. 
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