Sentaro (Masatoshi Nagase) gestisce un negozio di dorayaki, sorta di pancakes ripieni di marmellata di fagioli rossi molto amati dai giapponesi. Un giorno la signora Toku (Kirin Kiki), una strana vecchietta, si offre di aiutarlo: all'inizio l'uomo è perplesso ma presto si rende conto che la signora ha un tocco davvero magico in cucina.

Autrice di un cinema estremamente personale, nel corso della sua carriera Naomi Kawase ha sempre lavorato — ad eccezione di Hanezu (2011) — su sceneggiature originali, riuscendo a sviluppare, nell’incontro tra finzione e documentario, un intimo gusto per la rarefazione, l’ellisse e la sospensione: qualità preziose che l’hanno resa celebre nei circuiti festivalieri di mezzo mondo ma che risultano purtroppo assenti in una pellicola modesta e convenzionale come Le ricette della signora Toku. Basato su un romanzo di Durian Sukegawa, il film offre allo spettatore una carrellata tiepida e annacquata dei temi abituali della regista (memoria e identità, solitudine e sofferenza, rapporto uomo-natura), facendo leva su una semplicità ricercata (minimalismo della messa in scena e linearità narrativa) e una poesia insistita (dettagli culinari e immancabili stacchi sui ciliegi in fiore) che ben presto finiscono per risultare stucchevoli. Nel tentativo di conquistare un pubblico più vasto del solito, la Kawase rinuncia alla componente più suggestiva (e spesso anche più ostica) del suo cinema, quella del vuoto e del non detto, adagiandosi su una sceneggiatura didascalica e infarcita di cliché perfetti per l’esportazione occidentale. Obiettivo raggiunto: è infatti il primo film della regista a essere stato regolarmente distribuito in Italia, ma la sua cifra autoriale ne è uscita tutt’altro che indenne. Presentato al Festival di Cannes 2015 nella sezione Un Certain Regard.