Rifkin's Festival
Rifkin's Festival
2020
Paesi
Spagna, Usa, Italia
Genere
Commedia
Durata
92 min.
Formato
Colore
Regista
Woody Allen
Attori
Gina Gershon
Christoph Waltz
Elena Anaya
Wallace Shawn
Steve Guttenberg
Richard Kind
Tammy Blanchard
Louis Garrel
Damian Chapa
Mort Rifkin (Wallace Shawn), ex docente cinematografico, è sposato con Sue (Gina Gershon), addetta stampa di cinema. Il loro viaggio in Spagna, al Festival di San Sebastián, è turbato dal sospetto che il rapporto di Sue con il giovane regista con cui è a contatto per lavoro, Philippe (Louis Garrel), oltrepassi la sfera professionale. L'atmosfera del luogo e i dubbi sulla fedeltà della moglie sono per Mort l’occasione per superare il blocco che gli impedisce di scrivere il suo primo romanzo e per riflettere profondamente sulla sua condizione esistenziale. A complicare le cose, ci si mette anche l'incontro con l'affascinante dottoressa Jo Rojas (Elena Anaya).
Anche nell'annus horribilis della pandemia dovuta al COVID-19, Woody Allen è riuscito a non infrangere la tradizione a cui ci ha abituati da tempo immemore realizzando il suo nuovo film a un anno esatto da quello che lo ha preceduto. Dopo l'autunnale danza dei sentimenti baciata dalla grazia di Un giorno di pioggia a New York (2019), con Rifkin's Festival Allen ci porta per mano nell'assolata Spagna dalle tipiche tinte calde di un luogo accogliente e passionale. Al netto di un'innegabile leggerezza di tocco che può fare presa anche su chi non sia un cultore dell'opera alleniana, il film abbraccia con sterile ed elementare armonia le consuete ossessioni del suo autore, il quale qui non sembra riuscire a fare altro che riciclare al ribasso gran parte del suo repertorio. Allen, privo del giusto brio e ripiegato su se stesso nell'affrontare la (propria) senilità, non trova l'ispirazione per inserire qualcosa di accattivante in un film che, quasi con tenerezza, si trascina verso la fine ripetendo allo stremo battute e situazioni a dir poco logore. La cornice paesaggistica è da cartolina illustrata e gli slanci d'amore per l'ambiente circostante, fastidiosamente posticci, sono spot tursitici privi di sentimento. Il cuore pulsante del film è la riflessione, non banale solo a tratti, sul confronto tra vecchio e nuovo giocata attraverso la contrapposizione tra realtà e immaginazione. Il "festival di Rifkin" è quello che il protagonista stesso ripercorre nella propria mente: l'espediente del sogno, rappresentato in biancio e nero, permette ad Allen di mettere in scena un carosello di nostalgici siparietti veicolo del consueto rimpianto per un mondo e un cinema che non ci sono più. E così, ecco Mort e gli altri personaggi rivivere nelle sequenze cult dei capolavori di Welles, Bergman, Godard, Truffaut, Buñuel o Fellini, in ossequio a uno spirito cinefilo di certo non originale ma, quantomeno, profondamente sentito. Molto riuscito l'omaggio a Persona, con Gershon e Anaya che recitano in svedese proprio come Bibi Andersson e Liv Ullmann, ma il momento più divertente è l'apparizione di Christoph Waltz: l'attore, nei panni della Morte nella scena della ricostruzione de Il settimo sigillo con tanto di partita a scacchi, replica le solenni sentenze bergmaniane stravolgendone la drammaticità e strappa più di una risata. L'attaccamento di Allen ai propri feticci è, per certi versi, ammirevole per semplicità ed eleganza, ma il rischio è quello di saturare anche lo spettatore più ben disposto e paziente. Rimane un piacere della visione fin troppo basic, limitato al riconoscimento di meriti ormai dati per scontato quando si parla del maestro newyorkese, come la direzione degli attori, la capacità di rendere in maniera plastica lo spazio scenico, il gusto per il dettaglio. Nel décor degli interni si sente la mancanza della cura maniacale del grandissimo scenografo, costumista e designer Santo Loquasto, storico collaboratore di Woody Allen dal 1980, sostituito in questo film da Alain Bainée. Diligente fotografia di Vittorio Storaro e montaggio di Alisa Lepselter. Le riprese del film sono iniziate il 10 luglio 2019 a San Sebastián e sono terminate il 16 agosto dello stesso anno.
Anche nell'annus horribilis della pandemia dovuta al COVID-19, Woody Allen è riuscito a non infrangere la tradizione a cui ci ha abituati da tempo immemore realizzando il suo nuovo film a un anno esatto da quello che lo ha preceduto. Dopo l'autunnale danza dei sentimenti baciata dalla grazia di Un giorno di pioggia a New York (2019), con Rifkin's Festival Allen ci porta per mano nell'assolata Spagna dalle tipiche tinte calde di un luogo accogliente e passionale. Al netto di un'innegabile leggerezza di tocco che può fare presa anche su chi non sia un cultore dell'opera alleniana, il film abbraccia con sterile ed elementare armonia le consuete ossessioni del suo autore, il quale qui non sembra riuscire a fare altro che riciclare al ribasso gran parte del suo repertorio. Allen, privo del giusto brio e ripiegato su se stesso nell'affrontare la (propria) senilità, non trova l'ispirazione per inserire qualcosa di accattivante in un film che, quasi con tenerezza, si trascina verso la fine ripetendo allo stremo battute e situazioni a dir poco logore. La cornice paesaggistica è da cartolina illustrata e gli slanci d'amore per l'ambiente circostante, fastidiosamente posticci, sono spot tursitici privi di sentimento. Il cuore pulsante del film è la riflessione, non banale solo a tratti, sul confronto tra vecchio e nuovo giocata attraverso la contrapposizione tra realtà e immaginazione. Il "festival di Rifkin" è quello che il protagonista stesso ripercorre nella propria mente: l'espediente del sogno, rappresentato in biancio e nero, permette ad Allen di mettere in scena un carosello di nostalgici siparietti veicolo del consueto rimpianto per un mondo e un cinema che non ci sono più. E così, ecco Mort e gli altri personaggi rivivere nelle sequenze cult dei capolavori di Welles, Bergman, Godard, Truffaut, Buñuel o Fellini, in ossequio a uno spirito cinefilo di certo non originale ma, quantomeno, profondamente sentito. Molto riuscito l'omaggio a Persona, con Gershon e Anaya che recitano in svedese proprio come Bibi Andersson e Liv Ullmann, ma il momento più divertente è l'apparizione di Christoph Waltz: l'attore, nei panni della Morte nella scena della ricostruzione de Il settimo sigillo con tanto di partita a scacchi, replica le solenni sentenze bergmaniane stravolgendone la drammaticità e strappa più di una risata. L'attaccamento di Allen ai propri feticci è, per certi versi, ammirevole per semplicità ed eleganza, ma il rischio è quello di saturare anche lo spettatore più ben disposto e paziente. Rimane un piacere della visione fin troppo basic, limitato al riconoscimento di meriti ormai dati per scontato quando si parla del maestro newyorkese, come la direzione degli attori, la capacità di rendere in maniera plastica lo spazio scenico, il gusto per il dettaglio. Nel décor degli interni si sente la mancanza della cura maniacale del grandissimo scenografo, costumista e designer Santo Loquasto, storico collaboratore di Woody Allen dal 1980, sostituito in questo film da Alain Bainée. Diligente fotografia di Vittorio Storaro e montaggio di Alisa Lepselter. Le riprese del film sono iniziate il 10 luglio 2019 a San Sebastián e sono terminate il 16 agosto dello stesso anno.
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