Un gruppo di persone si ritrova dentro una casa di campagna per il week-end. Prende corpo la cosiddetta “roulette cinese”, che consiste nello scoprire l'identità di uno degli altri attraverso quesiti piuttosto scomodi.
Il titolo del film è già tutto, in quanto ne rispecchia sia il senso che la forma in rapporto al contenuto: quello di Fassbinder, in questo caso, non è altro che un gioco, crudele e smaliziato, di sicuro impatto ma, come tutti i giochi, anche un po' fine a se stesso. La maestria del regista tedesco però è innegabile, così come la sua capacità di rileggere la lezione antiborghese di Luis Buñuel alla luce del degrado della società tedesca, un tema che Fassbinder ha preso decisamente di petto in film come La paura mangia l'anima (1974) o Il diritto del più forte (1975). La lezione de L'angelo sterminatore (1962) di Buñuel si sente moltissimo, falsi indizi compresi, ma Fassbinder si concentra nell'orchestrare delle immagini “parlanti”, con le consuete magistrali carrellate che invadono gli spazi, e che usano gli specchi per riversare verso chi guarda il senso di un'alterazione e di una distorsione. Che è poi la stessa distorsione della borghesia del film, sempre più schiava di un modo di pensare perverso, svincolato da ogni utilità pragmatica e, non a caso, senza più fini né colpevoli.