1944-1945, Italia del nord. Il Duca (Paolo Bonacelli), il Monsignore (Giorgio Cataldi), l'Eccellenza (Umberto Paolo Quintavalle) e il Presidente (Aldo Valletti) sequestrano una trentina di giovani ragazzi e ragazze e, perversamente eccitati dai racconti pornografici di tre ex prostitute d'alto bordo (Caterina Boratto, Elsa De Giorgi e Hélène Surgère), li sottopongono alle torture più terribili che l'essere umano possa immaginare.
Dopo la cosiddetta “Trilogia della vita”, Pier Paolo Pasolini intendeva girare una “Trilogia della morte” che ne facesse da contraltare: ne dovevano fare parte il Salò che poi ha visto la luce, il vociferato Porno-Theo Kolossal e un terzo capitolo rimasto senza nome. Così, se nei tre film precedenti veniva celebrata la vita attraverso l'esaltazione del sesso, descritto come atto libero, spontaneo e soprattutto anti-classista, in Salò o le 120 giornate di Sodoma, prendendo spunto dall'opera del Marchese De Sade, il sesso viene invece usato come strumento di tortura e quindi, per estensione, come canale attraverso cui ribadire la supremazia di una classe su un'altra (non a caso, i quattro carnefici portano i nomi dei quattro tipi di potere istituzionale in Italia: il potere nobiliare, il potere ecclesiastico, il potere giudiziario e il potere economico). Assolutamente pertinente l'ambientazione che coglie l'imminente morte del regime fascista agonizzante, epoca in cui l'arbitrio del Potere sui più deboli ha raggiunto l'acme, perché, come dicono i protagonisti, citando Klossowski, «L'unica vera anarchia è l'anarchia del potere». Concetto spinto da Pasolini fino all'estremo della sostenibilità e accentuato dalla stridente contrapposizione tra dialoghi letterari e filosofeggianti volutamente affettati e l'orrore delle azioni perpetrate. Il regista unisce Freud e Marx, fondendo la sopraffazione politica con quella sessuale e mostrando, secondo le sue parole, “la mercificazione dei corpi da parte del Potere”. Opera cinematografica tra le più estreme mai concepite e vetta intellettuale dell'intera carriera cinematografica di Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma è, inoltre, il film ove è più possibile contemplare l'assoluta (e finalmente compiuta) forza registica del poeta friulano, tra simmetrie rigorose (visive e concettuali), giochi di specchi, riferimenti pittorici e un impianto scenico teatrale. Una delle più importanti produzioni artistiche italiane del secondo ‘900. Sceneggiatura di Pasolini con la collaborazione di Sergio Citti e Pupi Avati (non accreditato), scenografie di Dante Ferretti, costumi di Danilo Donati, fotografia di Tonino Delli Colli, musiche di Ennio Morricone. L'original cut, mai venuto alla luce, era di 145 minuti.