Sette novelle del Decameron di Boccaccio, con le storie di Ser Ciappelletto (Franco Citti) e dell'allievo di Giotto (Pier Paolo Pasolini) a far da cornice.
Dopo una lunga carriera corredata di scandali e urti frontali con la censura italiana, Pier Paolo Pasolini lancia il suo ultimo guanto di sfida alla morale borghese: attraverso tre film che andranno a comporre la cosiddetta “Trilogia della vita” (a questo primo capitolo seguiranno I racconti di Canterbury del 1972 e Il fiore delle mille e una notte del 1974), intende attaccare l'italica fobia del sesso, a suo parere alla base dell'ipocrita puritanesimo che stritola la cultura del suo paese natale. La prima delle tre pellicole, Il Decameron, è senza dubbio la migliore. Nonostante la volontà di Pasolini di esaltare l'approccio innocente, naif e libero al sesso dei personaggi boccacceschi, sia viziato dallo sguardo sordido del regista friulano (incuriosito dai lati più turpi e squallidi dei corpo umano), il film è senza dubbio una originale commedia grottesca, spregiudicata, ficcante e sgradevole quanto basta per scuotere la morale comune del piccolo borghese degli anni '70, stretta tra rivoluzione culturale e cappa catto-conservatrice. La fotografia di Tonino Delli Colli e la maestosa scenografia di Dante Ferretti contribuiscono a creare un Medioevo decisamente credibile, lontano dall'immaginario classico del “cappa e spada”, secondo solo a quello picaresco de L'armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli. Grandissimo successo di pubblico (4 miliardi di lire di incasso) e consueto fiume di polemiche. Più tiepida l'accoglienza della critica, nonostante l'Orso d'argento al Festival di Berlino.