La storia di Nur Ed Din (Franca Merli) che va alla ricerca della amata Zamurrud (Ines Pellegrini) attraverso l'Asia è decorata da una serie di racconti erotici e piccole apologie sull'amore.
Terzo e ultimo segmento della cosiddetta “Trilogia della vita” pasoliniana, triade di film comprendente Il Decameron (1971) e I racconti di Canterbury (1972) che, nelle intenzioni del regista, avrebbe dovuto pungere la bacchettona morale catto-democristiana italiana del tempo, dimostrando la naturale e gioiosa propensione dell'uomo a procurarsi il piacere attraverso il sesso. Dopo Boccaccio e Chaucer, Pier Paolo Pasolini chiude il suo progetto attingendo alla celebre e omonima raccolta di novelle arabe riordinate nel XV secolo, trovando, a sorpresa, più di una sponda poetica nelle atmosfere fumose e orientaleggianti tipiche di quella letteratura: nonostante permanga l'incapacità di Pasolini di essere davvero erotico e liberatorio senza scivolare nel turpe e nel goffo, il film riesce, anche grazie allo splendido lavoro di Dante Ferretti alla scenografia e di Danilo Donati ai costumi, a diventare, lentamente, un affascinante poesia in immagini, tra stile arabesco e orientalismo di maniera, che assorbe in una nube oppiacea anche le scene più esplicite. Di tutte le novelle raccontate nei tre film, quella di Ninetto Davoli nei panni di Aziz, con tanto di celebre scena di penetrazione tramite freccia a forma di arco, è probabilmente la più riuscita e, soprattutto, la più vicina all'idea originaria di Pasolini di elogiare un approccio libero al sesso. Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes, ma successo commerciale inferiore alle attese. Il consueto corollario di denunce e sequestri che Pasolini aveva voluto e ottenuto nei due capitoli precedenti, qui fu molto più attenuato, deludendo in parte il regista.