Sedotta e abbandonata
1964
Rai Movie
Paese
Italia
Generi
Commedia, Grottesco, Sentimentale
Durata
115 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Pietro Germi
Attori
Stefania Sandrelli
Saro Urzì
Aldo Puglisi
Lando Buzzanca
Lola Braccini
Leopoldo Trieste
Umberto Spadaro
Paola Biggio
Rocco D'Assunta
Oreste Palella
Lina Lagalla
Sciacca, provincia d'Agrigento. La bella sedicenne Agnese (Stefania Sandrelli) è sedotta e disonorata dal fidanzato della sorella, Peppino Califano (Aldo Puglisi). Il padre di Agnese, don Vincenzo Ascalone (Saro Urzì) tenta di imporre nozze riparatrici al seduttore che, però, rifiuta. Prende così il via una vera e propria guerra tra gli Ascalone e i Califano scandita da un rocambolesco intreccio di sotterfugi, trappole, minacce, ricatti e mistificazioni.
Dopo il successo di Divorzio all'italiana (1961), Germi torna ad affrontare con occhio critico e spirito satirico le contraddizioni insolute, le ipocrisie e gli stereotipi di una società arcaica come quella siciliana, legata febbrilmente a un'idea piuttosto obsoleta dell'onore e della rispettabilità. L'unica cosa che conta pare essere la preservazione delle apparenze e del buon nome familiare, indipendente dal grado di grossolanità e di abiezione che si è disposti a raggiungere pur di salvarsi dalle malelingue e dagli altrui sguardi misti di commiserazione e scherno. Anche in questo caso Germi (coadiuvato dagli sceneggiatori Luciano Vincenzoni, Age e Scarpelli) dà il meglio di sé nel tratteggiare una galleria di figure fragili e terribili, grottesche e drammatiche, spregiudicate eppure comiche nel loro essere disperatamente ancorate a un mondo fuori dal tempo e autoreferenziale ma al contempo verace e sanguigno. Numerose le sequenze memorabili: dal finto rapimento organizzato in piazza alle deposizioni incoerenti davanti al giudice fino a un finale caustico e amaramente ironico. Come il film precedente, grande successo internazionale con tanto di premio a Saro Urzì (semplicemente eccezionale) per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes.
Dopo il successo di Divorzio all'italiana (1961), Germi torna ad affrontare con occhio critico e spirito satirico le contraddizioni insolute, le ipocrisie e gli stereotipi di una società arcaica come quella siciliana, legata febbrilmente a un'idea piuttosto obsoleta dell'onore e della rispettabilità. L'unica cosa che conta pare essere la preservazione delle apparenze e del buon nome familiare, indipendente dal grado di grossolanità e di abiezione che si è disposti a raggiungere pur di salvarsi dalle malelingue e dagli altrui sguardi misti di commiserazione e scherno. Anche in questo caso Germi (coadiuvato dagli sceneggiatori Luciano Vincenzoni, Age e Scarpelli) dà il meglio di sé nel tratteggiare una galleria di figure fragili e terribili, grottesche e drammatiche, spregiudicate eppure comiche nel loro essere disperatamente ancorate a un mondo fuori dal tempo e autoreferenziale ma al contempo verace e sanguigno. Numerose le sequenze memorabili: dal finto rapimento organizzato in piazza alle deposizioni incoerenti davanti al giudice fino a un finale caustico e amaramente ironico. Come il film precedente, grande successo internazionale con tanto di premio a Saro Urzì (semplicemente eccezionale) per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes.
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