Austria, 1939. Il nazionalsocialista Heinrich Harrer (Brad Pitt) parte alla volta dell'Himalaya per scalare la maestosa montagna Nanga Parbat. Catturato dagli inglesi, ormai nemici della Germania a causa della Seconda guerra mondiale, si rifugia in Tibet con l'amico Peter (David Thewlis): l'incontro con il giovane Dalai Lama (Sonam Wangchuk) cambierà per sempre la sua prospettiva.
Jean-Jacques Annaud si ispira (con non poche libertà) all'autobiografia di Heinrich Harrer per confezionare un presuntuoso e anonimo dramma sulla ricerca della vera interiorità. Buonismo dilagante (la presa di coscienza, da parte del protagonista, degli errori passati: una moglie abbandonata, un figlio rifiutato), qualche (ipocrita) stoccata agli orrori della guerra e un po' di filosofia orientaleggiante a condire il tutto («Voi ammirate l'uomo che si spinge avanti, verso la cima, in ogni campo della vita, mentre noi ammiriamo l'uomo che abbandona il suo ego»). La confezione si rivela efficace (notevole la fotografia di Robert Fraisse, che esalta i maestosi paesaggi), ma il ritmo, non certo aiutato dalla probante durata, è catatonico e l'allure patinata nasconde una freddezza che spoglia l'operazione di qualsiasi fascino. La monoespressività dell'algido Brad Pitt è quasi disarmante. Invasiva colonna sonora di John Williams.