Siamo uomini o caporali?
1955
Paese
Italia
Generi
Commedia, Drammatico
Durata
92 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Camillo Mastrocinque
Attori
Totò
Paolo Stoppa
Fiorella Mari
Franca Faldini
Nerio Bernardi
Sylva Koscina
Giacomo Furia
Gildo Bocci
Agnese Dubbini
Rosita Pisano
Gina Rovere
Gino Buzzanca
Marcello Marchesi
Dopo aver minacciato l'amministratore del teatro di posa (Paolo Stoppa) dove lavora come comparsa, Totò Esposito (Totò) viene rinchiuso in manicomio. Qui spiegherà a uno psichiatra la sua teoria sull'umanità, divisa tra uomini (che subiscono sempre) e caporali (che vivono opprimendo i primi).
Al secondo film insieme (dopo Totò all'inferno, dello stesso anno), Totò e Camillo Mastrocinque traducono su pellicola il fulcro “filosofico” del pensiero dell'attore, espresso nell'autobiografia omonima (e divenuto uno dei suoi tormentoni). È un Totò, questo, che pur non rinunciando alla sua carica effervescente, racconta e mostra, con un'espressività carica di mille sfumature, il volto vessato e perdente dell'uomo qualunque. Con un'idea surreale il casting affida a Paolo Stoppa tutti i ruoli dei diversi “caporali” incontrati nella vicenda, che parte dal secondo conflitto mondiale per terminare nel dopoguerra. Molti i tagli e gli interventi della censura (inizialmente il caporale doveva essere lo stesso personaggio e mostrare così il cinico trasformismo della classe dirigente italiana), ma il film mantiene la sua carica corrosiva sino in fondo grazie a un finale circolare che sigilla la storia con amara rassegnazione dopo aver raccontato quindici anni di storia italiana, arrivando a mostrarne il volto più cinico (è uno dei primi film in cui si vedono i campi di concentramento). Superficialmente negativo il giudizio della critica contemporanea, è invece uno dei lungometraggi più sentiti e appassionanti della carriera di Totò, per il materiale autobiografico, per l'audacia del soggetto e l'ambizione a un'interpretazione più sfaccettata. Presente nel film, interpretata dall'attore stesso, una delle sue canzoni più struggenti, Còre analfabbeta.
Al secondo film insieme (dopo Totò all'inferno, dello stesso anno), Totò e Camillo Mastrocinque traducono su pellicola il fulcro “filosofico” del pensiero dell'attore, espresso nell'autobiografia omonima (e divenuto uno dei suoi tormentoni). È un Totò, questo, che pur non rinunciando alla sua carica effervescente, racconta e mostra, con un'espressività carica di mille sfumature, il volto vessato e perdente dell'uomo qualunque. Con un'idea surreale il casting affida a Paolo Stoppa tutti i ruoli dei diversi “caporali” incontrati nella vicenda, che parte dal secondo conflitto mondiale per terminare nel dopoguerra. Molti i tagli e gli interventi della censura (inizialmente il caporale doveva essere lo stesso personaggio e mostrare così il cinico trasformismo della classe dirigente italiana), ma il film mantiene la sua carica corrosiva sino in fondo grazie a un finale circolare che sigilla la storia con amara rassegnazione dopo aver raccontato quindici anni di storia italiana, arrivando a mostrarne il volto più cinico (è uno dei primi film in cui si vedono i campi di concentramento). Superficialmente negativo il giudizio della critica contemporanea, è invece uno dei lungometraggi più sentiti e appassionanti della carriera di Totò, per il materiale autobiografico, per l'audacia del soggetto e l'ambizione a un'interpretazione più sfaccettata. Presente nel film, interpretata dall'attore stesso, una delle sue canzoni più struggenti, Còre analfabbeta.
Iscriviti
o
Accedi
per commentare