Bambino tedesco problematico e asociale ma molto intelligente, il piccolo Oskar (David Bennent) decide di non crescere più a partire dal tuo terzo compleanno e di osservare i comportamenti deprecabili e le barbarie compiute dagli adulti, suonando ripetutamente il proprio tamburo di latta come segno di protesta. Sullo sfondo, il periodo storico che comprende le due guerre mondiali. Ispirata all'omonimo capolavoro (1959) dello scrittore tedesco Günter Grass, premio Nobel per la letteratura nel 1999, una pellicola di grande spessore ideologico e cinematografico, costruita come una sfaccettata allegoria tra realtà e fantasia, sogno e incubo. La parabola del giovanissimo Oskar, piccolo essere dalle sembianze amabilmente mostruose, diventa un'allegoria della condizione del popolo a cui il piccolo appartiene. Nel rifiuto di entrare a far parte di un mondo adulto permeato di violenza e cecità intellettuale, c'è il tentativo di mantenere la purezza incontaminata di una infanzia comunque segnata dal disagio esistenziale. Brutti, sporchi e cattivi, i personaggi cadono sotto lo spettro del Nazismo e si omologano a una realtà che li plagia, manifestando dissoluzione morale e spirito autodistruttivo. Un'opera sconvolgente, dal taglio unico, che attraverso il protagonista mostra, per contrasto, l'immobilità e la rassegnazione di una nazione. Ma, alla fine, anche Oskar sembra un freak che riflette la figura abietta del Führer. Uno spettacolo circense deforme, surreale e cinico, che attraverso l'allusione simbolica dipinge un'amara realtà. Sceneggiatura di Jean-Claude Carrière, Franz Seitz e Volker Schlöndorff. Palma d'oro a Cannes (ex-aequo con Apocalypse Now) e Oscar come miglior film straniero.