The Shrouds
The Shrouds
2024
Paesi
Canada, Francia
Generi
Horror, Thriller
Durata
119 min.
Formato
Colore
Regista
David Cronenberg
Attori
Vincent Cassel
Diane Kruger
Guy Pearce
Sandrine Holt
Al Sapienza
Ingvar Eggert Sigurdsson
Karsh (Vincent Cassel) è un brillante uomo d’affari che non è riuscito a superare la perdita della moglie (Diane Kruger). Per mantenere vivo il contatto con il corpo di lei, ha inventato una controversa e innovativa tecnologia in grado di permettere ai vivi di osservare i loro cari dopo la morte.

Quanto vuoi spingerti nell’oscurità? È una domanda che Karsh pone nei primi minuti a una donna con cui è a pranzo, raccontando che accanto a quel ristorante di sua proprietà c’è un cimitero decisamente al di fuori dei canoni tradizionali. Il cibo e la morte sono un elemento ricorrente nel cinema di David Cronenberg, ma in questo film (che richiama nei titoli di testa il precedente Crimes of the Future del 2022) si vanno a innervare completamente con una profonda riflessione sentimentale, dal taglio mèlo, con possibili riferimenti a Inseparabili (1988) e M. Butterfly (1993). Le connessioni con la filmografia del regista canadese sono molteplici – il complotto globale e paranoide de Il pasto nudo (1991) – ma qui (forse più che mai) si sente davvero che il protagonista è proprio lo stesso Cronenberg. The Shrouds è infatti una pellicola estremamente personale e collegabile alla morte della moglie del regista, Carolyn, scomparsa per un tumore nel 2017; Vincent Cassel è chiaramente un alter ego dell’autore canadese, un personaggio che funge da percorso di autoanalisi per il suo autore, tra malinconie e sensi di colpa. The Shrouds è senza dubbio un’opera funeraria, ma è anche e forse soprattutto un film sull’amore, sulla malattia e sul tentativo di superare i confini tra la vita e la morte come atto per oltrepassare un’elaborazione del lutto da cui è impossibile scappare. Cronenberg profetizza ancora una volta una “distopia possibile”, attraverso una riflessione non banale sull’intelligenza artificiale, sulla sua umanizzazione e i suoi pericoli, ma ancor di più su una applicazione che riflette la nostra ossessione contemporanea sempre più perversa di osservare, filmare e archiviare in digitale tutto quello che ci troviamo davanti agli occhi. Echi hitchcockiani (la cognata del protagonista parla proprio di un “effetto vertigo”) si annidano tra le ombre di un lungometraggio girato con la consueta maestria, estremamente parlato ai limiti del verboso come i più recenti titoli del regista, che porta con sé uno spessore filosofico ed esistenziale di grande profondità. L’indagine del personaggio principale si fa sempre più confusa, ma in un percorso dentro l’abisso oscuro che regna in ognuno di noi anche un pizzico di caos fa parte del gioco. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
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