Totò che visse due volte
1998
Paese
Italia
Generi
Commedia, Drammatico
Durata
98 min.
Formato
Bianco e Nero
Registi
Daniele Ciprì
Franco Maresco
Attori
Marcello Miranda
Salvatore Gattuso
Carlo Giordano
Tre episodi: nel primo un poveraccio (Marcello Miranda) ruba una statua religiosa per andare con una prostitua; nel secondo Fefé (Carlo Giordano) ha paura di recarsi dinanzi al cadavere del fidanzato morto; nel terzo un Messia, Totò (Salvatore Gattuso), viene crocifisso dopo essere stato venduto a un boss.
Pochi film nella storia del cinema italiano hanno conosciuto un destino analogo a quello toccato in sorte all'opera seconda di Ciprì e Maresco, bannato dalla commissione censura per vilipendio della religione cattolica. Totò che visse due volte è, al di là di tutto, un film maledetto e ancora oggi agonizzante nelle sue stesse traversie, simbolo di un ostruzionismo, da parte dello Stato, contro il libero e sfrontato esercizio del pensiero e della prassi artistica, che non si vedeva, con quest'irruenza implacabile, dai tempi de La ricotta (1963) di Pier Paolo Pasolini, nei cui riguardi furono mosse a suo tempo analoghe accuse. Quella dei due registi è un'opera impietosa e maniacale nel suo proposito blasfemo di ricollocare il nuovo testamento in un contesto assolutamente laido, in cui il divino è declassato e negato in nome dell'ultima e della più letale di tutte le apocalissi. Ogni lampo ridanciano o ironico è inserito in un universo totalmente luttuoso ma anche pornografico, simboleggiato dal gesto reiterato e moltiplicato all'infinito di sfregarsi i genitali. Una delle massime rappresentazioni, quest'ultima, del disagio di un cinema antropologico che, come sostiene Maresco, altrove ormai non si pratica più e che pertanto è unico, abbandonato a se stesso, e apocrifo per scelta e per necessità. Certo, una buona dose di sgradevolezza appare (fin troppo) programmatica, ma è un limite inevitabile e il giusto prezzo da pagare per l'ostentazione di così tanto coraggio.
Pochi film nella storia del cinema italiano hanno conosciuto un destino analogo a quello toccato in sorte all'opera seconda di Ciprì e Maresco, bannato dalla commissione censura per vilipendio della religione cattolica. Totò che visse due volte è, al di là di tutto, un film maledetto e ancora oggi agonizzante nelle sue stesse traversie, simbolo di un ostruzionismo, da parte dello Stato, contro il libero e sfrontato esercizio del pensiero e della prassi artistica, che non si vedeva, con quest'irruenza implacabile, dai tempi de La ricotta (1963) di Pier Paolo Pasolini, nei cui riguardi furono mosse a suo tempo analoghe accuse. Quella dei due registi è un'opera impietosa e maniacale nel suo proposito blasfemo di ricollocare il nuovo testamento in un contesto assolutamente laido, in cui il divino è declassato e negato in nome dell'ultima e della più letale di tutte le apocalissi. Ogni lampo ridanciano o ironico è inserito in un universo totalmente luttuoso ma anche pornografico, simboleggiato dal gesto reiterato e moltiplicato all'infinito di sfregarsi i genitali. Una delle massime rappresentazioni, quest'ultima, del disagio di un cinema antropologico che, come sostiene Maresco, altrove ormai non si pratica più e che pertanto è unico, abbandonato a se stesso, e apocrifo per scelta e per necessità. Certo, una buona dose di sgradevolezza appare (fin troppo) programmatica, ma è un limite inevitabile e il giusto prezzo da pagare per l'ostentazione di così tanto coraggio.
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