Avventure e disavventure della famiglia Ciraulo, tra i quali spicca il capofamiglia Nicola (Toni Servillo), sgradevole e meschino. Quando la figlioletta rimane uccisa, tutte le sue energie saranno dedicate all'ottenere un risarcimento, che purtroppo si ridurrà a una Mercedes: nient'altro che un ulteriore mezzo per ostentare la propria spavalderia sociale.
L'esordio dietro la macchina da presa di Daniele Ciprì, separatosi in via definitiva dal sodale di sempre Franco Maresco, è una girandola familiare dall'umorismo piuttosto macabro e cinico, che non teme di scendere a patti col lessico più brullo e popolaresco della tradizione cinematografica del cinema italiano. Rispetto allo Scola di Brutti, sporchi e cattivi (1976), modello ideale che Ciprì sembra avere chiaramente in testa, il film si perde tra eccessi gratuiti (non legittimati cioé da un'adeguata cattiveria di fondo), inverosimiglianze strutturali e linguistiche (l'accento di Servillo è troppo orientato verso la napoletanità per sembrare davvero un siciliano), e una recitazione forzatamente sopra le righe. Unico punto a favore del film è una certa capacità di scavare nel binomio complesso e intricato che lega i rapporti umani a quelli sociali, sulla scia dell'etica verghiana del possesso, in cui tutto è prevaricazione e anche i legami di sangue non sono esenti da questo tritacarne, puntualmente innescato dagli esecutori senza scrupoli che lo alimentano e vi prendono parte.