Tre piani
2021
Paesi
Italia, Francia
Generi
Commedia, Drammatico
Durata
119 min.
Formato
Colore
Regista
Nanni Moretti
Attori
Margherita Buy
Riccardo Scamarcio
Alba Rohrwacher
Adriano Giannini
Elena Lietti
Alessandro Sperduti
Nanni Moretti
Tre famiglie abitano in un edificio borghese, dove la quiete regna sovrana solo in apparenza. Un grave incidente notturno darà il via a una serie di complicazioni sempre più gravi, che coinvolgeranno i vari inquilini del palazzo.
Arrivato al tredicesimo lungometraggio di finzione, Nanni Moretti firma per la prima volta un film che non nasce da un suo soggetto: alla base c’è infatti l’importante romanzo omonimo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo, che rientra tra le passioni letterarie del regista (già in Aprile diceva di amare un letterato suo connazionale, Abraham Yehoshua). Moretti ha spostato l’azione da Tel Aviv all’Italia, nella fattispecie nella sua Roma, mantenendosi fedele allo spirito del testo di partenza e alla sua natura psicanalitica. I tre piani del titolo, infatti si possono interpretare come i tre stadi dell’apparato psichico secondo Freud: Es, Io e Super-io, con quest’ultimo che fa riferimento al piano in cui vive il personaggio dello stesso Moretti, simbolo del controllo e del divieto e che nel film, non a caso, di professione fa il giudice, il mestiere sulla carta più normativo e castrante possibile. Attraverso una regia forte di tempi di montaggio perfetti e di inquadrature studiate con grande attenzione pur nella loro apparente semplicità, il film sviluppa una serie di riflessioni particolarmente toccanti che parlano di vita, morte, addii e perdoni, dando vita a una girandola emotiva che si chiude, non a caso, con un carosello di danze proprio di fronte al palazzo protagonista della pellicola: il tema del veder ballare gli altri, senza poter partecipare, è da sempre centrale in molti film di Moretti, e qui ha il sapore, se non proprio di un rendez-vous finale, quantomeno di un congedo struggente, al culmine di tre articolati atti narrativi che avvengono ciascuno a distanza di cinque anni dall’altro. In alcune sequenze c'è purtroppo un filo di superficialità eccessiva, soprattutto nella parte che vede protagonista Riccardo Scamarcio, ma il disegno d’insieme convince, oltre che per la forza tecnica e il pudore asettico, per un copione fatto di passaggi di grande intensità, in cui ogni rapporto umano fa storia a se stante e storia collettiva allo stesso tempo. È un mosaico imperfetto, ma di forte umanità, Tre piani, un lungometraggio che non lascia indifferenti: scontenterà probabilmente quanti continuano a ricercare nel cinema morettiano la forza d’urto apocalittica e fiammeggiante del Michele Apicella che fu e dei suoi strali epocali, confinati però in un’epoca ormai tramontata, ma è invece un manufatto intimo di forte maturità, limpidissimo eppure stratificato. A contare non è tanto l’apparente schematismo di alcuni snodi narrativi un po' scolastici, quanto il modo rinnovato, e per lui inedito, col quale Moretti si sofferma su piccoli e grandi rimpianti e meschinità, ritagliandosi non più il ruolo del figlio con addosso il cognome della madre (Apicella, appunto), ma quello di un padre che ha scelto di rinnegare il proprio figlio. La sequenza chiave, non a caso assente nel romanzo e appositamente aggiunta, è all’inizio del film, dove Moretti inserisce la scena di un incidente automobilistico: potrebbe sembrare un dettaglio drammaturgico apparentemente casuale, e invece è un riferimento sottile e studiato, oltre che surrealisticamente rivelante, all’incidente posticcio sul quale si apriva e si chiudeva Palombella rossa (1989), lungometraggio che non a caso segnava proprio il definitivo distacco da Apicella e l’avvio della fase diaristica. Anche il finale ha per il cinema di Moretti un valore luttuoso, malinconico, probabilmente definitivo, con una lancinante presa di coscienza di sé e del proprio lasciato artistico, lucidissima nonostante l’ovvia componente stanca e senile. Notevole la direzione d’attori: nel ricchissimo cast recitano tutti al loro meglio, da Alba Rohrwacher a Riccardo Scamarcio passando per Margherita Buy, il personaggio più “vicino” a Moretti nonché sua moglie nel film. Nota finale per i morettiani doc: il fatto che il figlio di Moretti in Tre piani si chiami ancora Andrea, come il figlio interpretato da Giuseppe Sanfelice e morto ne La stanza del figlio (2001), avvalora la tesi secondo cui il figlio morto nel film Palma d’oro a Cannes simboleggiasse proprio Michele Apicella, alter ego da uccidere, in quel caso, ma evidentemente non definitivamente. Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2021.
Arrivato al tredicesimo lungometraggio di finzione, Nanni Moretti firma per la prima volta un film che non nasce da un suo soggetto: alla base c’è infatti l’importante romanzo omonimo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo, che rientra tra le passioni letterarie del regista (già in Aprile diceva di amare un letterato suo connazionale, Abraham Yehoshua). Moretti ha spostato l’azione da Tel Aviv all’Italia, nella fattispecie nella sua Roma, mantenendosi fedele allo spirito del testo di partenza e alla sua natura psicanalitica. I tre piani del titolo, infatti si possono interpretare come i tre stadi dell’apparato psichico secondo Freud: Es, Io e Super-io, con quest’ultimo che fa riferimento al piano in cui vive il personaggio dello stesso Moretti, simbolo del controllo e del divieto e che nel film, non a caso, di professione fa il giudice, il mestiere sulla carta più normativo e castrante possibile. Attraverso una regia forte di tempi di montaggio perfetti e di inquadrature studiate con grande attenzione pur nella loro apparente semplicità, il film sviluppa una serie di riflessioni particolarmente toccanti che parlano di vita, morte, addii e perdoni, dando vita a una girandola emotiva che si chiude, non a caso, con un carosello di danze proprio di fronte al palazzo protagonista della pellicola: il tema del veder ballare gli altri, senza poter partecipare, è da sempre centrale in molti film di Moretti, e qui ha il sapore, se non proprio di un rendez-vous finale, quantomeno di un congedo struggente, al culmine di tre articolati atti narrativi che avvengono ciascuno a distanza di cinque anni dall’altro. In alcune sequenze c'è purtroppo un filo di superficialità eccessiva, soprattutto nella parte che vede protagonista Riccardo Scamarcio, ma il disegno d’insieme convince, oltre che per la forza tecnica e il pudore asettico, per un copione fatto di passaggi di grande intensità, in cui ogni rapporto umano fa storia a se stante e storia collettiva allo stesso tempo. È un mosaico imperfetto, ma di forte umanità, Tre piani, un lungometraggio che non lascia indifferenti: scontenterà probabilmente quanti continuano a ricercare nel cinema morettiano la forza d’urto apocalittica e fiammeggiante del Michele Apicella che fu e dei suoi strali epocali, confinati però in un’epoca ormai tramontata, ma è invece un manufatto intimo di forte maturità, limpidissimo eppure stratificato. A contare non è tanto l’apparente schematismo di alcuni snodi narrativi un po' scolastici, quanto il modo rinnovato, e per lui inedito, col quale Moretti si sofferma su piccoli e grandi rimpianti e meschinità, ritagliandosi non più il ruolo del figlio con addosso il cognome della madre (Apicella, appunto), ma quello di un padre che ha scelto di rinnegare il proprio figlio. La sequenza chiave, non a caso assente nel romanzo e appositamente aggiunta, è all’inizio del film, dove Moretti inserisce la scena di un incidente automobilistico: potrebbe sembrare un dettaglio drammaturgico apparentemente casuale, e invece è un riferimento sottile e studiato, oltre che surrealisticamente rivelante, all’incidente posticcio sul quale si apriva e si chiudeva Palombella rossa (1989), lungometraggio che non a caso segnava proprio il definitivo distacco da Apicella e l’avvio della fase diaristica. Anche il finale ha per il cinema di Moretti un valore luttuoso, malinconico, probabilmente definitivo, con una lancinante presa di coscienza di sé e del proprio lasciato artistico, lucidissima nonostante l’ovvia componente stanca e senile. Notevole la direzione d’attori: nel ricchissimo cast recitano tutti al loro meglio, da Alba Rohrwacher a Riccardo Scamarcio passando per Margherita Buy, il personaggio più “vicino” a Moretti nonché sua moglie nel film. Nota finale per i morettiani doc: il fatto che il figlio di Moretti in Tre piani si chiami ancora Andrea, come il figlio interpretato da Giuseppe Sanfelice e morto ne La stanza del figlio (2001), avvalora la tesi secondo cui il figlio morto nel film Palma d’oro a Cannes simboleggiasse proprio Michele Apicella, alter ego da uccidere, in quel caso, ma evidentemente non definitivamente. Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2021.
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