Ultime peregrinazioni di Tulse Luper (Roger Rees/Stephen Billington) in giro per il mondo, raccolte in dieci capitoli tra Lisbona, l'isola di Sark, l'Italia, la mitteleuropa e altre città. Passato e presente si fondono in una geografia in cui spazio e tempo assumono tratti sempre più fantastici. Sorpresa finale. Si conclude la trilogia di Greenaway sull'immaginario Tulse Luper, scrittore e artista attraverso il quale il regista britannico ha provato a restituire una mappa ipertestuale e multimediale che trascende l'idea stessa di cinema, proponendo un universo estetico e concettuale d'avanguardia. La sperimentazione espressiva diventa intransigenza autoriale, a tratti autistica, nella sua smaccata tendenza a stupire a tutti i costi: la non-linearità della narrazione perde qualsiasi referente codificato, tanto da risultare spesso un semplice esercizio intellettualistico. L'eccesso di testimonianze frontali ed elucubrazioni extradiegetiche grava non poco su un intreccio (?) già di per sé involuto e di difficile decifrazione che sembra imprigionare l'estro di Greenaway, autentico Tulse Luper dietro la macchina da presa. In ogni caso, un ulteriore passo in avanti dell'autore gallese nello sgretolamento dei canoni della cinematografia classica, che rielabora immagini, colori, suoni e musica sfruttando l'innovazione della tecnologia digitale. Da prendere o lasciare, senza mezze misure. Notevole la rivelazione finale che permette di (ri)leggere l'intera trilogia sotto una nuova (e più convincente) prospettiva. Il set ambientato nella Mole Antonelliana di Torino è stato in realtà ricostruito in Lussemburgo. Inedito in Italia.