Will Hunting – Genio ribelle
Good Will Hunting
1997
Paese
Usa
Genere
Drammatico
Durata
126 min.
Formato
Colore
Regista
Gus Van Sant
Attori
Matt Damon
Robin Williams
Ben Affleck
Minnie Driver
Stellan Skarsgård
Cole Hauser
In un quartiere operaio di Boston, un ragazzo di nome Will Hunting (Matt Damon) con un passato già tormentato alle spalle, lavora come inserviente per le pulizie al MIT (Massachusetts Institute of Technology), ma ha un talento speciale del quale non tutti sono ancora a conoscenza: è un genio in matematica e possiede delle qualità intellettive assolutamente fuori dal comune.
Gli attori Matt Damon e Ben Affleck, premiati con l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale, hanno dato vita a un copione di buona efficacia, che rilancia in chiave non troppo complessa temi cari alla macchina cinematografica hollywoodiana: il talento, l'accettazione in rapporto a quella che è la propria vera identità, il conflitto tra ciò che è dettato dai sentimenti e ciò che impone la ragione, la contrapposizione tra l'aridità della conoscenza che non dialoga con la vita e la necessità di un sapere che di quella vita sia invece riflesso diretto e prolungamento naturale. La bontà pur sempre schematica dell'operazione sfuma in quell'abusata tipologia di buonismo in cui non è difficile prevedere il risultato, come fosse stata utilizzata una formula matematica già sviluppata altrove diverse altre volte. La mano registica di Van Sant, inoltre, tende conseguentemente e un po' colpevolmente a eclissarsi, dovendo flirtare con un'etica più compromissoria e accomodante rispetto a quella a cui il regista ci ha abituato con pellicole come Drugstore Cowboy (1989) e Belli e dannati (1991). Goffredo Fofi l'ha definito «l'unico film di cui Van Sant dovrebbe davvero vergognarsi» ma, senza arrivare a tanto, è comunque un'opera che può legittimamente infastidire per via di qualche furbizia di troppo. Premio Oscar come miglior attore non protagonista a Robin Williams, alle prese con una prova di grande e commossa misura, alla larga da qualsiasi gigionismo.
Gli attori Matt Damon e Ben Affleck, premiati con l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale, hanno dato vita a un copione di buona efficacia, che rilancia in chiave non troppo complessa temi cari alla macchina cinematografica hollywoodiana: il talento, l'accettazione in rapporto a quella che è la propria vera identità, il conflitto tra ciò che è dettato dai sentimenti e ciò che impone la ragione, la contrapposizione tra l'aridità della conoscenza che non dialoga con la vita e la necessità di un sapere che di quella vita sia invece riflesso diretto e prolungamento naturale. La bontà pur sempre schematica dell'operazione sfuma in quell'abusata tipologia di buonismo in cui non è difficile prevedere il risultato, come fosse stata utilizzata una formula matematica già sviluppata altrove diverse altre volte. La mano registica di Van Sant, inoltre, tende conseguentemente e un po' colpevolmente a eclissarsi, dovendo flirtare con un'etica più compromissoria e accomodante rispetto a quella a cui il regista ci ha abituato con pellicole come Drugstore Cowboy (1989) e Belli e dannati (1991). Goffredo Fofi l'ha definito «l'unico film di cui Van Sant dovrebbe davvero vergognarsi» ma, senza arrivare a tanto, è comunque un'opera che può legittimamente infastidire per via di qualche furbizia di troppo. Premio Oscar come miglior attore non protagonista a Robin Williams, alle prese con una prova di grande e commossa misura, alla larga da qualsiasi gigionismo.
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