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I 5 migliori film di Abbas Kiarostami

Ci ha lasciati lo scorso 4 luglio Abbas Kiarostami, uno dei principali autori contemporanei e il più celebre cineasta iraniano, figura dal valore artistico riconosciuto a livello internazionale, tanto da conquistare il plauso di colleghi noti: da Nanni Moretti a Martin Scorsese, passando per Jean-Luc Godard, secondo la cui opinione “Il cinema comincia con D. W. Griffith e finisce con Abbas Kiarostami”.

Nel cinema di Kiarostami è riconoscibile una profonda coerenza stilistica che combina rigore formale e libertà creativa, attraverso cui il regista indaga figure umane marginali che si muovono all’interno di un contesto sociale e ambientale a dir poco problematico e contraddittorio come l’Iran contemporaneo. I film di Kiarostami, inoltre, si segnalano per una marcata componente metacinematografica, capace di unire riflessione sul senso delle immagini e della loro messa in scena in maniera mai gratuita o pedante.

Per ricordare il grande regista iraniano recentemente scomparso, LongTake dedica a lui il consueto appuntamento con la top 5 settimanale.

Ecco, dunque, i cinque migliori film di Abbas Kiarostami secondo la nostra redazione:

5. Dov’è la casa del mio amico?

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Film che ha rivelato il nome di Kiarostami al pubblico internazionale, un delicato racconto di viaggio con il passo di una favola semplice e remota. L’anima risiede tutta nel motivo che spinge il piccolo protagonista Ahmed a percorrere chilometri pur di aiutare un amico: una solidarietà tra piccoli, che nel momento del bisogno travalica qualsiasi altro impegno o dovere familiare.  La regia si caratterizza per concisione e sobrietà ma, pur nella frugalità di mezzi, non rinuncia a scelte espressive sorprendenti. Non mancano, per esempio, quelle riprese in campo lunghissimo che costituiranno la cifra stilistica più caratteristica del cineasta iraniano in tutta la sua produzione.

4. Sotto gli ulivi

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Ultimo capitolo della trilogia composta da Dov’è la casa del mio amico? (1987) ed E la vita continua (1992). Amplificando il discorso metacinematografico contenuto nello scarto tra secondo e primo film, Kiarostami realizza l’immaginario (e quindi fittizio) making-of di E la vita continua: nei ciak ripetuti e nella dialettica tra spazio davanti e dietro la macchina da presa si configura quindi un ennesimo gioco di rifrazioni tra realtà e finzione. Il denso portato teorico è alleggerito dalla messa in scena, come al solito improntata alla massima essenzialità. Un ruolo cruciale nel profilo estetico è affidato alla natura e ai paesaggi, spesso colti dalla macchina da presa in bellissimi campi lunghi che ne accentuano la stilizzazione. Probante, ma estremamente coraggioso.

3. E la vita continua

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Ideale estensione metacinematografica di Dov’è la casa del mio amico? (1987), un road-movie atipico e delicato, ispirato al devastante terremoto avvenuto nella regione di Manjil-Rudbar nel 1990. In quei luoghi Kiarostami aveva girato la pellicola precedente e in quei luoghi i personaggi di questo film ritornano, tra le macerie e gli inaspettati germogli di nuova vita che riescono comunque a sbocciare. Si crea così una prima inaspettata saldatura tra realtà e finzione, in una originalissima chiave di continuità nella filmografia del regista. Celebre la sequenza in campo lunghissimo finale: la distanza, per Kiarostami, non serve ad allontanare il suo sguardo dai personaggi, ma aiuta a coglierli nella loro interezza di essere umani inscritti nel tempo e nello spazio.

2. Il sapore della ciliegia

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Palma d’oro al cinquantesimo Festival di Cannes. Struggente apologo sul valore del vivere e del morire, non è il film più elaborato e inventivo del regista sul piano formale, ma ha suscitato interesse in tutto il mondo in virtù della controversa tematica trattata e del modo originale, poetico, “crudo” e spiazzante di risolverla. Non è nemmeno un film sull’eutanasia o sul suicidio come erroneamente si potrebbe ritenere, quanto piuttosto una profonda riflessione sulla pietas e sul concetto di responsabilità, individuale e collettiva. Le reazioni dei tre interlocutori alla sconvolgente richiesta del protagonista, interpretato da un eccellente Homayon Ershadi, sono le nostre: paura, sconcerto, desiderio di spendersi per ribaltare i propositi di morte dell’altro.

1. Close-Up 

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Prendendo spunto da un episodio realmente accaduto, Abbas Kiarostami costruisce uno dei suoi film più brillanti, in cui i piani si sovrappongono in un sorprendente caleidoscopio metacinematografico. Quella che vediamo, quindi, è la “copia conforme” della realtà, una sorta di terza dimensione estranea tanto al documentario in senso stretto quanto alla finzione. Su questo presupposto teorico si innesta una eccellente costruzione narrativa che, come in Rashomon (1950) di Akira Kurosawa, torna più volte sullo stesso evento per mostrarlo da punti di vista differenti. La riflessione culmina nel toccante incontro finale tra il falso Makhmalbaf e il vero Makhmalbaf, durante una memorabile corsa in motocicletta.

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