Israele, primi anni '60. Adam Stein (Jeff Goldblum), clown e uomo di spettacolo durante la Seconda guerra mondiale, è ora il paziente di un centro psichiatrico per sopravvissuti all'Olocausto situato nel deserto israeliano e diretto dal dottor Gross (Derek Jacobi). Vive nell'angoscia del ricordo di un passato segnato dalla sopraffazione e dalla follia del conflitto bellico. La sua sanità mentale sembra seriamente compromessa. Incursione decisamente infelice di Paul Schrader nel rischioso territorio dell'apologo di (teorico) alto valore morale sulla tragedia della Shoah, scritto da Noah Stollman sulla base dell'omonimo romanzo (1968) di Yoram Kaniuk. Il regista americano si rivela impacciato come non mai nel maneggiare una materia che non sente sua, schematica all'inverosimile quando non compromessa da più di uno scivolone nella farsa involontaria. Il macabro spettacolo dell'Olocausto, negli stucchevoli flashback (rigorosamente in bianco e nero) viene accostato in senso straniante allo spettacolo d'evasione del circo e del cabaret; i traumi di Stein (uno su tutto quello ridicolo del cane) sono minati da una enfasi fastidiosa; l'ambiente dell'ospedale psichiatrico appare spesso sterilmente caricaturale, l'interpretazione di Goldblum irritante e mai sofferta come vorrebbe far credere, la banalizzazione della figura del comandante nazista Klein (Willem Dafoe) imperdonabile. Bene e male, sanità e malattia, realtà e rappresentazione, in una pellicola dal coinvolgimento ai minimi termini. Musiche di Gabriel Yared.