Babylon
Babylon
2022
Paese
Usa
Generi
Commedia, Drammatico
Durata
189 min.
Formato
Colore
Regista
Damien Chazelle
Attori
Margot Robbie
Brad Pitt
Diego Calva
Jean Smart
Jovan Adepo
Olivia Wilde
Tobey Maguire
Max Minghella
Li Jun Li
1926. In una Hollywood folle e viziosa, divisa tra depravati parties da girone infernale ed esasperanti set cinematografici, si incrociano le avventure dell'aspirante attrice del New Jersey Nellie LaRoy (Margot Robbie), del divo Jack Conrad (Brad Pitt) e del trombettista jazz afroamericano Sidney Palmer (Jovan Adepo). A rivestire un ruolo speciale è però l'immigrato messicano Manny Torres (Diego Calva), umile sognatore proiettato in un mondo psichedelico e feroce che dovrà saper domare. Tutti si aggrappano alla vita e al successo sul filo di un equilibrio precario, destinato a crollare in seguito ai cambiamenti dello star system con l'ingresso negli anni 30.
“Il film che amerete odiare”, parafrasando il celebre slogan con cui venne lanciato nel cinema americano Erich von Stroheim, insuperato maestro di morbosa decadenza e titanismo dell'epoca del muto. Damien Chazelle, qui regista e sceneggiatore, torna a nutrirsi della propria brillante cinefilia per buttarsi in un affresco composito sulla ciclicità del cinema inteso come caleidoscopica macchina di spettacolo fuori da ogni forma di ordine precostituito, che fagocita brutture e momenti di incanto. Un film a suo modo modernista nel rifiutare il compromesso e la medietà del giudizio, che si prende gioco delle calligrafiche ricostruzioni d'epoca e che spinge a leggere la contemporaneità consapevoli del fatto che il passato possa illuminare il futuro, infondendo speranza su di un presente che rischia di sparire nell'oscurità, come un personaggio condannato a una tragica fine. La fine (di un'epoca, di un mondo, di una vita) non è altro che un nuovo inizio, proprio come accadde a Babilonia, megalopoli dell'antichità legata al mito del suo lento e inesorabile declino che riuscì a risorgere dalle proprie ceneri più maestosa di prima dopo essere stata rasa al suolo. Chazelle osa a costo di cadere, a tratti anche rovinosamente, nell'esasperare situazioni già di per sé ben oltre il punto di non ritorno, cavalcando inoltre le prevedibili riflessioni nell'affrontare il bric-à-brac metaforico inerente al passaggio dal muto al sonoro, ma ha l'innegabile merito di avere chiarissimo il disegno complessivo del film: dalla forma sincopata di un banchetto di Trimalcione ipercinetico e postmoderno, Babylon assume sempre più la forma fluida e avvolgente di un ineluttabile crepuscolo degli dèi, capace di restituire pieno senso al "cattivo gusto" (della parola, dei gesti ma anche dello stile della messa in scena) visto in precedenza. Con lo spettro della morte che aleggia su tutto il film, in veste ora goliardica, ora amarissima. Come era facile aspettarsi da Chazelle, la musica ricopre un ruolo cruciale e per certi versi salvifico, in quanto storicamente ritenuta la forma d'arte più pura e incontaminata. Notevole la Nellie LaRoy di Margot Robbie, agente del caos dalla destabilizzante libertà espressiva, ma a rimanere più impresso è il Jack Conrad di Brad Pitt, edonista stralunato e malinconico con tanto di baffetto e vizio dell'alcol alla Errol Flynn. Max Minghella, figlio del compianto regista Anthony, interpreta il leggendario produttore Irving Thalberg, co-fondatore della MGM. Fugace comparsata di Joe Dallesandro nei panni di un fotografo. La colonna sonora di Justin Hurwitz è quanto di più sovrabbondante si possa immaginare, con tanto di passaggi che sembrano rimasugli dello score di La La Land, ma la traccia Call Me Manny è un'autentica bomba. Nel finale, ambientato nel 1952 (anno fondamentale anche in The Fabelmans di Spielberg, anch'esso uscito nel 2022), il musical capolavoro Cantando sotto la pioggia diventa per Chazelle la pellicola definitiva capace di superare lo spazio e il tempo per abbracciare le emozioni trasmesse lungo tutta la storia della Settima arte, dai primi esperimenti delle immagini in movimento del pre-cinema al senso di meraviglia della motion capture di Avatar. E come dargli torto.
“Il film che amerete odiare”, parafrasando il celebre slogan con cui venne lanciato nel cinema americano Erich von Stroheim, insuperato maestro di morbosa decadenza e titanismo dell'epoca del muto. Damien Chazelle, qui regista e sceneggiatore, torna a nutrirsi della propria brillante cinefilia per buttarsi in un affresco composito sulla ciclicità del cinema inteso come caleidoscopica macchina di spettacolo fuori da ogni forma di ordine precostituito, che fagocita brutture e momenti di incanto. Un film a suo modo modernista nel rifiutare il compromesso e la medietà del giudizio, che si prende gioco delle calligrafiche ricostruzioni d'epoca e che spinge a leggere la contemporaneità consapevoli del fatto che il passato possa illuminare il futuro, infondendo speranza su di un presente che rischia di sparire nell'oscurità, come un personaggio condannato a una tragica fine. La fine (di un'epoca, di un mondo, di una vita) non è altro che un nuovo inizio, proprio come accadde a Babilonia, megalopoli dell'antichità legata al mito del suo lento e inesorabile declino che riuscì a risorgere dalle proprie ceneri più maestosa di prima dopo essere stata rasa al suolo. Chazelle osa a costo di cadere, a tratti anche rovinosamente, nell'esasperare situazioni già di per sé ben oltre il punto di non ritorno, cavalcando inoltre le prevedibili riflessioni nell'affrontare il bric-à-brac metaforico inerente al passaggio dal muto al sonoro, ma ha l'innegabile merito di avere chiarissimo il disegno complessivo del film: dalla forma sincopata di un banchetto di Trimalcione ipercinetico e postmoderno, Babylon assume sempre più la forma fluida e avvolgente di un ineluttabile crepuscolo degli dèi, capace di restituire pieno senso al "cattivo gusto" (della parola, dei gesti ma anche dello stile della messa in scena) visto in precedenza. Con lo spettro della morte che aleggia su tutto il film, in veste ora goliardica, ora amarissima. Come era facile aspettarsi da Chazelle, la musica ricopre un ruolo cruciale e per certi versi salvifico, in quanto storicamente ritenuta la forma d'arte più pura e incontaminata. Notevole la Nellie LaRoy di Margot Robbie, agente del caos dalla destabilizzante libertà espressiva, ma a rimanere più impresso è il Jack Conrad di Brad Pitt, edonista stralunato e malinconico con tanto di baffetto e vizio dell'alcol alla Errol Flynn. Max Minghella, figlio del compianto regista Anthony, interpreta il leggendario produttore Irving Thalberg, co-fondatore della MGM. Fugace comparsata di Joe Dallesandro nei panni di un fotografo. La colonna sonora di Justin Hurwitz è quanto di più sovrabbondante si possa immaginare, con tanto di passaggi che sembrano rimasugli dello score di La La Land, ma la traccia Call Me Manny è un'autentica bomba. Nel finale, ambientato nel 1952 (anno fondamentale anche in The Fabelmans di Spielberg, anch'esso uscito nel 2022), il musical capolavoro Cantando sotto la pioggia diventa per Chazelle la pellicola definitiva capace di superare lo spazio e il tempo per abbracciare le emozioni trasmesse lungo tutta la storia della Settima arte, dai primi esperimenti delle immagini in movimento del pre-cinema al senso di meraviglia della motion capture di Avatar. E come dargli torto.
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