Tra le strade del New Jersey viene ucciso un ragazzo filippino (Yul Servo). A indagare viene chiamato un detective (Joel Torre) tormentato dal suo passato. Al suo quarto lungometraggio, il regista filippino Lav Diaz opta per una svolta che sarà decisiva nel corso della sua carriera successiva: dopo tre film dalla durata “normale”, dirige una pellicola di 315 minuti (quasi 5 ore e mezza). La scelta potrebbe spaventare, ma l'autore sa già il fatto suo e sfrutta l'ampio minutaggio per dare vita a un credibile dramma di denuncia, capace di far immedesimare lo spettatore con i protagonisti in scena, coinvolgendolo nell'indagine. La riflessione tocca sia le problematiche giovanili (il mondo della droga) che, soprattutto, la vita della comunità filippina negli Usa: tramite una serie di interviste a familiari e amici della vittima, il regista dipinge un ritratto delle difficoltà degli immigrati che faticano a trovare un proprio posto nella società a stelle e strisce. L'estetica è ancora un po' acerba – manca ancora qualche anno, prima che Diaz punti integralmente sul bianco e nero – ma il messaggio arriva forte e chiaro. Peccato per alcune lungaggini di troppo difficilmente giustificabili.