Nel 2003 Mikhail Khodorkovsky, uno degli uomini più ricchi di Russia, fu arrestato e in seguito condannato a dieci anni di carcere per evasione fiscale. In molti credono che la sua rovina sia stata aver sfidato Vladimir Putin, eletto presidente per la seconda volta nel 2004 e in carica da oltre vent’anni. Durante la sua detenzione in una prigione siberiana, al confine con la Mongolia, Khodorkovsky è diventato un dissidente noto in tutto il mondo. Nel 2019, in esilio a Londra, continua a combattere il potere ormai ventennale di Putin e in tanti, tra gli avversari politici di Putin, vedono in lui un totem di riferimento e una figura chiave.
Il documentarista americano Alex Gibney, premio Oscar per Taxi to the Dark Side (2007), si confronta con la ricostruzione degli intrecci malati e perversi tra politica e finanza nella Russia degli ultimi vent’anni, costruendo Citizen K tutto intorno al dialogo-intervista con uno degli ex oligarchi defenestrati da Putin in un momento storico in cui, a detta del regista, tutti sono ossessionati dal ruolo dell’ex paese sovietico nel mondo. Il ritratto che Gibney fornisce di Khodorkovsky, probabilmente il più cruciale tra gli oppositori istituzionali di Putin, intreccia il suo passato travagliato alla disamina sull’evoluzione della Russia dopo la caduta dell’URSS. Le domande che il cineasta pone al protagonista del doc, realizzate in delle sessioni londinesi di interviste di oltre 20 ore di durata, scoperchiano segreti e tensioni strettamente collegate a Putin con un interessantissimo e continuo rispecchiamento tra i due arcinemici, apparentemente diversi e agli antipodi, ma accomunati di fatto da molti, inquietanti e perfino macabri, punti di contatto (entrambi, ad esempio, sono stati accusati dell’omicidio di persone a loro avverse poi perpetrati nel giorno dei rispettivi compleanni). Rispetto ad altri film di Gibney, va detto, viene a mancare l’impatto incandescente di una singola idea forte in grado di far saltare il banco, tant’è che Citizen K in più di un’occasione si limita a un rendiconto a tratti compilativo di eventi e fatti già risaputi in sede di cronaca, a cominciare dalla connessione a dir poco sospetta tra Londra e accadimenti cruciali e avvolti nel mistero relativi ai servizi segreti russi. Notevolissimo, ad ogni modo, il lavoro di ricerca realizzato negli archivi della tv locale, da cui emergono programmi parodici di spietata e corrosiva satira politica con dei pupazzi a metà tra il Muppet show e alcuni format dell’Italia 1 degli anni ’90. Per tacere della dimensione quasi faustiana con cui si ragiona sul potere putiniano e sulle intime ragioni della sua longevità presso i suoi elettori e connazionali, il tutto con la forza serrata di un thriller in piena regola che sconfina in dinamiche da puro gangster movie. Presentato fuori concorso, nella sezione non fiction, alla Mostra del cinema di Venezia 2019, immediatamente dopo la quale il partito di Putin, pur preservando la maggioranza, ha fatto registrare tuttavia un drastico calo perdendo un terzo dei seggi.