Reduce della Guerra di Corea e floricoltore di professione, Earl Stone (Clint Eastwood) è costretto a cessare la sua attività, divenuta ormai poco redditizia, e si ritrova quasi in miseria. Quando gli viene proposto di diventare un "corriere" per conto di un cartello messicano, accetta l'incarico con la speranza di tornare a una vita dignitosa e riallacciare i rapporti con la sua famiglia, troppo trascurata nel corso degli anni. Ma presto l'agente della DEA Colin Bates (Bradley Cooper) inizia a indagare e si mette sulle sue tracce.
Dopo l'infelice parentesi di Ore 15:17 – Attacco al treno (2018), Clint Eastwood torna al suo cinema più autentico e fa di nuovo centro. Il corriere – The Mule è un'opera perfettamente coerente con l'intera poetica del regista e, in un certo senso, ha quasi una valenza testamentaria, per la capacità di racchiudere umanesimo, senso dell'onore, rispetto per la legge, etica della responsabilità e attaccamento ai propri cari, temi da sempre fondanti nella poetica di Eastwood. Il tutto all'interno di un quadro drammatico composto e sussurrato, che si configura come un viaggio western nella provincia americana contemporanea, con le auto al posto dei cavalli e vecchie sale da ballo al posto dei saloon. Uno scenario che trasuda umanità e si radica fortemente nella contemporaneità, attraverso un marcato contrasto tra passato e presente, in cui emergono il gap tra vecchie e nuove generazioni (colmabile solo ricorrendo ai sentimenti più profondi) e l'inesorabile scorrere del tempo. Ma il cuore pulsante del film è l'anima intima dei personaggi, mossi ad agire in nome di valori raramente espressi sul grande schermo con questa lucidità di sguardo. Mai prima d'ora Eastwood si era messo così a nudo come uomo (Alison Eastwood è sua figlia nella finzione e nella vita reale) e come artista, gettando un affettuoso sguardo autoironico, non privo di autocritica, su quanto realizzato al cinema finora. Una presa di coscienza che arriva quando la fine si fa più vicina, proprio come accade al protagonista Earl. Un'opera che, dopo una prima parte fin troppo interlocutoria, cresce costantemente e dà vita a un disegno complessivo che segna la celebrazione e, al tempo stesso il superamento, dei codici classici di cui si è nutrito tutto il cinema eastwoodiano per approdare a uno struggente finale che riassume un’intera esistenza. Bradley Cooper, mai così misurato, offre una grande prova nei panni dello "sceriffo" ostinato, ma a impressionare sono i duetti tra Eastwood e Dianne Wiest, che interpreta Mary, ex moglie di Earl. Clint Eastwood torna a recitare in un suo film esattamente dieci anni dopo averlo fatto in Gran Torino (2008), sceneggiato, non a caso, sempre da Nick Schenk. Ispirato alla vera storia di Leo Sharp, raccontata da Sam Dolnick nell'articolo del New York Times Magazine "The Sinaloa Cartel's 90-Year-Old Drug Mule". Fotografia di Yves Bélanger, colonna sonora di Arturo Sandoval.