8 settembre 1943. Nella stazione di Scalitto il maresciallo Vittorio Cotone (Vittorio De Sica) insegue il ladro Antonio Capurro (Totò), travestito da prete. Quando la caduta di una bomba fa perdere i sensi al carabiniere, Capurro scambia il proprio abito talare con la sua divisa.
Il cinema brillante dell'Italia postbellica ha collezionato parecchi titoli sulla Resistenza, cercando di mettere insieme dramma e umorismo, serio e faceto. Nel 1961 ci prova anche Corbucci, armato di due istrioni di razza, per la prima volta insieme dall'inizio alla fine del film (o quasi). La storia, nata da un'idea di Totò, può considerarsi una riproposizione del detto “l'abito non fa il monaco”, peraltro esplicitamente citato da Capurro nel finale. La sceneggiatura, non esente da momenti di stanca, ha soprattutto il maggior demerito di non riuscire a coniugare la carica comica con la riflessione storico-morale, concentrata quasi tutta nel penultimo incontro tra i due protagonisti, dove l'ansia di mostrare la maturazione dei personaggi fa sbandare pericolosamente il film sui lidi della retorica. Tuttavia, Totò e De Sica sono una garanzia: il primo in particolare, artefice di alcuni numeri da antologia, dove invece il secondo appare un passo indietro, spesso teso a rimestare in un certo manierismo. Ma i duetti, come gli assolo, funzionano comunque, grazie anche a un pugno di comprimari ben piazzati, come Franco Giacobini, doppiato da Nino Manfredi. Un'altra curiosità sul doppiaggio: Carlo Croccolo presta la voce in alcune sequenze – spesso evidenti, si veda l'ultimo inseguimento alla stazione – sia a Totò che a De Sica.