Emilia Perez
Emilia Perez
2024
Paesi
Francia, Messico, Usa
Generi
Musical, Commedia, Poliziesco
Durata
130 min.
Formato
Colore
Regista
Jacques Audiard
Attori
Karla Sofía Gascón
Selena Gomez
Zoe Saldana
Édgar Ramírez
Praticante di uno studio legale di Città del Messico di dubbia moralità professionale, la giovane e risoluta Rita (Zoe Saldana) ambisce a costruirsi un futuro migliore. L'inaspettata svolta nella sua vita arriva quando è contattata dal temuto boss della droga locale Juan "Manitas" Del Monte (Karla Sofía Gascón), il quale ha sempre coltivato il sogno di diventare donna...
Folle, visionaria ed elettrizzante opera ultra pop che reinventa i codici di genere e spiazza lo spettatore nel suo fiammeggiante sguardo su temi delicatissimi, il decimo lungometraggio di Jacques Audiard non si adegua mai su convenzioni cinematografiche precostituite, con il chiaro intento di farsi portatore di un'idea di cinema all'insegna della totale libertà artistica, nonostante ogni aspetto sembri ossessivamente studiato a tavolino. Quello che poteva essere un racconto "sporco", rigidamente inquadrato in una prospettiva dal basso, diventa un arrembante e lisergico viaggio nei generi cinematografici che forza la mano fino all'eccesso barocco. Lo spirito rivoluzionario e, per certi versi, anarchico del film è minato al suo interno dallo stile iper patinato attraverso cui Audiard decide di dare senso all'operazione, come se concettualemnte volesse esaltare la superficie dell'immagine. Commedia, gangster movie e musical, senza dimenticare il finale che sembra guardare alle telenovelas latine, si intrecciano continuamente in una performance glamour che guarda alla pubblicità, al mondo della moda e all'interior design di lusso (significativo, in questo senso, il contributo della Saint Laurent Productions e del direttore artistico della maison Anthony Vaccarello). Il torvo mondo dei cartelli della droga messicani riesce a trovare un eccentrico punto di contatto con illuminanti riflessioni sull'identità di genere, in un continuo sovrapporsi di scenari-cartolina che sono pura finzione scenica. Pacchiana favola LGBTQIA+ o raffinata opera arthouse? Furbissima commistione di generi o modello di un nuovo approccio teorico tra il cinema d'essai e quello usa e getta delle piattaforme streaming? Tonfo nella carriera di Audiard o geniale variazione sui suoi temi del disagio della periferia, con i distretti messicani al posto della banlieu parigina? Se qualche dubbio rimane nell'effettiva solidità della scrittura, non è certo possibile mettere in discussione la plastica fluidità della regia di Audiard, notevolissima in ogni singola singola sequenza. I tanti numeri di canto e di ballo non hanno volutamente la grandeur del musical classico, ed è una scelta più che azzeccata, più discutibile l'intento dissacratorio che rende spesso il film una parodia di se stesso. Il classico film da prendere o lasciare, senza mezze misure. Grande successo alle proiezioni stampa al Festival di Cannes, dove è stato presentato in concorso e ha ottenuto due riconoscimenti: Premio Speciale della Giuria e Miglior interpretazione femminile andato collettivamente a tutte le donne presenti nel film.
Folle, visionaria ed elettrizzante opera ultra pop che reinventa i codici di genere e spiazza lo spettatore nel suo fiammeggiante sguardo su temi delicatissimi, il decimo lungometraggio di Jacques Audiard non si adegua mai su convenzioni cinematografiche precostituite, con il chiaro intento di farsi portatore di un'idea di cinema all'insegna della totale libertà artistica, nonostante ogni aspetto sembri ossessivamente studiato a tavolino. Quello che poteva essere un racconto "sporco", rigidamente inquadrato in una prospettiva dal basso, diventa un arrembante e lisergico viaggio nei generi cinematografici che forza la mano fino all'eccesso barocco. Lo spirito rivoluzionario e, per certi versi, anarchico del film è minato al suo interno dallo stile iper patinato attraverso cui Audiard decide di dare senso all'operazione, come se concettualemnte volesse esaltare la superficie dell'immagine. Commedia, gangster movie e musical, senza dimenticare il finale che sembra guardare alle telenovelas latine, si intrecciano continuamente in una performance glamour che guarda alla pubblicità, al mondo della moda e all'interior design di lusso (significativo, in questo senso, il contributo della Saint Laurent Productions e del direttore artistico della maison Anthony Vaccarello). Il torvo mondo dei cartelli della droga messicani riesce a trovare un eccentrico punto di contatto con illuminanti riflessioni sull'identità di genere, in un continuo sovrapporsi di scenari-cartolina che sono pura finzione scenica. Pacchiana favola LGBTQIA+ o raffinata opera arthouse? Furbissima commistione di generi o modello di un nuovo approccio teorico tra il cinema d'essai e quello usa e getta delle piattaforme streaming? Tonfo nella carriera di Audiard o geniale variazione sui suoi temi del disagio della periferia, con i distretti messicani al posto della banlieu parigina? Se qualche dubbio rimane nell'effettiva solidità della scrittura, non è certo possibile mettere in discussione la plastica fluidità della regia di Audiard, notevolissima in ogni singola singola sequenza. I tanti numeri di canto e di ballo non hanno volutamente la grandeur del musical classico, ed è una scelta più che azzeccata, più discutibile l'intento dissacratorio che rende spesso il film una parodia di se stesso. Il classico film da prendere o lasciare, senza mezze misure. Grande successo alle proiezioni stampa al Festival di Cannes, dove è stato presentato in concorso e ha ottenuto due riconoscimenti: Premio Speciale della Giuria e Miglior interpretazione femminile andato collettivamente a tutte le donne presenti nel film.
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