Insofferente alle imposizioni familiari e psicologicamente inquieto, il giovane François (Jean-Pierre Mocky) viene internato in manicomio dal padre (Jean Galland). Dovrà affrontare le striscianti sevizie del dottor Varmont (Pierre Brasseur), trovando sostegno e complicità nel fragile Heurtevent (Charles Aznavour) e in Stéphanie (Anouk Aimée). Al suo esordio nel lungometraggio, Georges Franju mette in scena un romanzo di Hervé Bazin, adattato dal protagonista Jean-Pierre Mocky (con la collaborazione ai dialoghi di Jean-Charles Pichon), e tratteggia un disturbante apologo sulle ipocrisie costituzionalmente imposte. La psichiatria come mezzo primario di repressione e annientamento dell'individuo, costretto all'omologazione e all'accettazione passiva di meccanismi precostituiti: lo script affronta lo scottante tema di base esaltando la naturale libertà (interiore e fisica) dell'essere umano e metaforizzando il divario tra moderno e obsoleto attraverso le figure di Varmont ed Emery (interpretato da Paul Meurisse), medico empatico e progressista, parteggiando apertamente per quest'ultimo. Franju si scaglia con forza contro un principio che mira a proteggere la società dalla malattia, rinnegando l'anomalia in nome di un'ipocrita e fasulla perfezione; e, attraverso uno sviluppo serrato, tecnicamente senza sbavature e dominato da caratterizzazioni memorabili, realizza il suo personalissimo e anarchico grido di protesta, le cui sparute ingenuità strutturali scompaiono in favore di una sorprendente coerenza intellettuale. Cast in stato di grazia. Strepitose la colonna sonora di Maurice Jarre e la fotografia di Eugen Schüfftan.