1981. Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) conduce un'esistenza ai margini della cinica società di Gotham City. Di giorno lavora come pagliaccio, di sera prova a trovare il successo come cabarettista. In entrambi i casi, però, viene continuamente insultato e trattato come un freak da chi lo circonda. Quando anche il rapporto con la madre si incrina, dando origine a numerosi dubbi sul suo passato, l'instabilità della sua psiche prende il sopravvento.
Gettati i panni da commediografo (un po' come farà il protagonista del suo film), Todd Phillips si cimenta con il cinecomic, raccontando la genesi del celebre villain della DC Comics attraverso una prospettiva autonoma che non si collega a nessun altro film di supereroi precedentemente realizzato. Lontano anni luce dalle innumerevoli trasposizioni sul grande schermo di fumetti, albi e graphic novel di ogni tipo, questo Joker non è altro che un viaggio negli abissi della psiche umana, un action per il grande pubblico che dietro la maschera (è proprio il caso di dirlo) nasconde una operazione di taglio autoriale che riesce nel non facile compito di aderire ai codici di genere trasfigurandoli attraverso una prospettiva per molti versi inedita. Attingendo a piene mani al cinema di rottura americano degli anni ’70 e, in particolare, al sentimento di disillusione alla base del cinema della New Hollywood, il film destabilizza, con inesorabile progressione drammatica, mantenendo sempre perfettamente il focus sul suo debordante protagonista, reietto senza via d’uscita, escluso da ogni forma di relazione sociale in un mondo di lupi famelici. Discesa infernale di vibrante potenza, il film è una moderna rielaborazione del Taxi Driver (1976) di scorsesiana memoria, non solo per la presenza di Robert De Niro, istrionico re per una notte omologato al cinismo circostante. La si può definire una parabola sul degrado morale della società contemporanea, ferita nel profondo dalle atroci derive di dinamiche capitalistiche fuori controllo (significativo, in questo senso, l’occhio poco accomodante con cui è presentata la figura del magnate Thomas Wayne, padre di Bruce), ma anche un neo-noir che segue il percorso esistenziale del protagonista attraverso tappe cruciali costruite secondo un climax narrativo di rara efficacia. Gotham City perde sia l’aura gotica di Tim Burton, sia la geometrica impostazione proposta da Christopher Nolan, per diventare una metropoli multirazziale sporca e cattiva, i cui abitanti sono consapevoli di vivere in un’epoca in cui a dominare sono la cieca violenza, l’intolleranza, il rifiuto di sostegno al diverso, il pregiudizio, l’alienazione e l’incomunicabilità. I rimandi, evidenti, al mondo di oggi, restituiscono senso profondo all’intera operazione senza appesantire un impianto cinematografico comunque orientato all’intrattenimento e allo spettacolo di qualità. Joaquin Phoenix, in una prova da standing ovation che gli è valsa il Golden Globe come miglior attore in un film drammatico e l'Oscar come miglior attore protagonista, dà vita ad Arthur Fleck/Joker con una capacità mimetica propria solo dei più grandi attori della storia del cinema, attraverso un incredibile lavoro sulla fisicità del personaggio, sulla sua tensione emotiva, sulla sua maschera ora malinconica, ora inquietante. Fondamentali per creare la giusta atmosfera la fotografia di Lawrence Sher e la colonna sonora di Hildur Guðnadóttir (premiata con il Golden Globe), violoncellista e compositrice sperimentale islandese. Il film ha vinto il Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia, sancendo il primo grande trionfo a un festival di un cinecomic nella storia del cinema, prima di ottenere due Oscar: miglior colonna sonora e miglior attore protagonista.