Madre
Madeo
2009
Paese
Corea del Sud
Generi
Drammatico, Poliziesco
Durata
128 min.
Formato
Colore
Regista
Bong Joon-ho
Attori
Kim Hye-ja
Won Bin
Jin Ku
Yun Je-mun
Jeon Mi-seon
Do-joon (Won Bin) è un ragazzo disturbato e rifiutato da tutti a causa dei suoi evidenti problemi mentali. Quando verrà accusato dell'omicidio di una ragazza, la madre (Kim Hye-ja), poco convinta, comincerà a indagare in prima persona.
Un altro film coeso, stratificato e psicologicamente denso per Bong Joon-ho, che ha già dimostrato di possedere la vocazione del cineasta puro, capace di spaziare dal blockbuster catastrofico (The Host del 2006) al cinema di genere (Memories of Murder del 2003) mantenendo intatti la qualità del suo sguardo e il grado di spessore della propria messa in scena. Uno straziante, commosso e ambiguo ritratto di madre, che riflette sui condizionamenti dovuti ai legami affettivi, ma anche sulle possibilità infinite e sui gesti impensabili che un amore spropositato come quello materno può generare. Nel film di Bong, degno di una tragedia euripidea, albergano vendetta, sangue, esplosioni di violenza, bruciature e lampi improvvisi, che vanno a contrappuntare una narrazione spesso piana e dimessa, ma anche momenti all'insegna della pura costruzione poetica, come l'inizio e la parte finale, che si rispecchiano l'uno nell'altro generando una vera e propria struttura ad anello. La ricostruzione di un omicidio, in questo caso come nel precedente, altrettanto riuscito Memories of Murder, fa da cassa di risonanza per parlare di temi più grandi e più ingombranti rispetto al semplice pretesto di partenza, dall'amore filiale al confine etico tra giusto e sbagliato passando per la controversa ricezione della diversità nel mondo di oggi. Ma Madre si spinge anche più in là del precedente lungometraggio di Bong e riesce a commuovere e ad abbagliare con la purezza e la limpidezza che spetta ai capolavori. Quello del regista coreano è anche, in misura non secondaria, un film sulla sofferenza dello sguardo, in cui l'atto di spiare bilancia sempre al suo interno, in egual misura, proibizione, sottomissione e dolore. Presentato nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes.
Un altro film coeso, stratificato e psicologicamente denso per Bong Joon-ho, che ha già dimostrato di possedere la vocazione del cineasta puro, capace di spaziare dal blockbuster catastrofico (The Host del 2006) al cinema di genere (Memories of Murder del 2003) mantenendo intatti la qualità del suo sguardo e il grado di spessore della propria messa in scena. Uno straziante, commosso e ambiguo ritratto di madre, che riflette sui condizionamenti dovuti ai legami affettivi, ma anche sulle possibilità infinite e sui gesti impensabili che un amore spropositato come quello materno può generare. Nel film di Bong, degno di una tragedia euripidea, albergano vendetta, sangue, esplosioni di violenza, bruciature e lampi improvvisi, che vanno a contrappuntare una narrazione spesso piana e dimessa, ma anche momenti all'insegna della pura costruzione poetica, come l'inizio e la parte finale, che si rispecchiano l'uno nell'altro generando una vera e propria struttura ad anello. La ricostruzione di un omicidio, in questo caso come nel precedente, altrettanto riuscito Memories of Murder, fa da cassa di risonanza per parlare di temi più grandi e più ingombranti rispetto al semplice pretesto di partenza, dall'amore filiale al confine etico tra giusto e sbagliato passando per la controversa ricezione della diversità nel mondo di oggi. Ma Madre si spinge anche più in là del precedente lungometraggio di Bong e riesce a commuovere e ad abbagliare con la purezza e la limpidezza che spetta ai capolavori. Quello del regista coreano è anche, in misura non secondaria, un film sulla sofferenza dello sguardo, in cui l'atto di spiare bilancia sempre al suo interno, in egual misura, proibizione, sottomissione e dolore. Presentato nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes.
Iscriviti
o
Accedi
per commentare