A Seoul una famiglia vive in uno squallido seminterrato e deve lottare ogni giorno per soddisfare i propri bisogni primari. Per loro si apre uno spiraglio di speranza quando il figlio maggiore Ki-woo (Choi Woo-sik) ha la possibilità di essere assunto da una ragazza, Ki-jung (Park So-dam), erede di una famiglia molto abbiente, per darle ripetizioni in vista di un esame. Lui si adopererà per volgere questa situazione a suo vantaggio, ma la situazione prenderà delle pieghe impreviste.
Il regista sudcoreano Bong Joon-Ho, dopo la parentesi leggermente al di sotto dei suoi consueti standard rappresentata da Okja (2017), ritrova il proprio attore feticcio Song Kang-ho e torna alla potenza del suo cinema migliore. Lo fa attraverso una scatenata e pirotecnica commedia, rigorosamente al veleno per topi: un genere che consente all’autore di Madre (2009) di parlare dei nodi cruciali del presente e della crisi economica con uno sguardo a dir poco funambolico e incendiario, tanto nelle premesse del racconto quanto nei suoi folli e imprevedibili sviluppi e colpi di scena, che mescolano satira fuori controllo e irresistibile bizzarria, slanci di commedia nera e riflessioni sulle fratture tra ranghi sociali, collocate plasticamente su piani differenti e destinate a una feroce e impietosa lotta di classe. Parasite, che si pone decisamente in scia al coevo Noi (2019) di Jordan Peele per la costruzione generale e la potenza urlata della propria allegoria, nell’arco della sua raffinata e godibile messa in scena, si sofferma a più riprese sugli Stati Uniti come veicolo di falsificazione e menzogna. Allo stesso modo vengono citati i rapporti tragici e timorosi con la Corea del Nord, con la quale la distensione non è mai davvero andata in porto, all’interno di una panoramica profondamente politica e di stringente attualità. Non mancano nemmeno riferimenti sarcastici alla psicologia e al valore terapeutico dell’arte, in linea con la forsennata ispirazione di un prodotto che non risparmia bordate a niente e nessuno e ha il coraggio estasiante di sottoporre per primi a mitragliate proprio i suoi stessi personaggi. Il tutto tra corpo a corpo costruiti con somma e avvolgente perizia e scene di sesso al contempo inquietanti e spassosissime, tra durezza e ilarità leggiadra, tra massi e violini. Tra i tanti ruzzoloni e le altrettante sequenze fuori di testa, particolarmente ragguardevole quella scandita sulle note del celebre classico della musica leggera italiana In ginocchio da te di Gianni Morandi. Il finale, all’apice di un climax di stupefacente tensione e sanguinolenta spettacolarità, si chiude su un altro sguardo in camera difficile da dimenticare, analogamente a quanto fatto da Bong con uno dei suoi massimi esiti, Memories of Murder (2003). Meritatamente premiato con la Palma d'oro al Festival di Cannes 2019 e con il Golden Globe al miglior film straniero, ma il riconoscimento più importante è l'Oscar al miglior film, il primo nella storia dell'Academy andato a un lungometraggio in lingua non inglese. Oltre a questo ha ottenuto altre tre statuette importantissime: miglior regista, miglior film internazionale e miglior sceneggiatura originale.
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