Usa, fine anni '20: Roy Hobbs (Robert Redford) è una giovane promessa del baseball che, in seguito a uno sciagurato incidente, vede stroncata la propria carriera. Ormai trentacinquenne decide di riprovarci, ma gli anni pesano e non sarà facile per lui riuscire ad affermarsi. Apologo a stelle e strisce sull'eterno scontro tra l'uomo e il destino, basato sull'omonimo romanzo di Bernard Malamud e, allo stesso tempo, in pieno contrasto con esso. Barry Levinson traccia le fila dell'esistenza di un uomo alle prese con il fallimento e il successo, delineando tra le righe di un sottotesto moralistico la vita di un eroe moderno. L'avvenire costruito con le proprie mani, la lotta con il fato avverso, la caparbietà: sono questi i temi principali incarnati dal protagonista, un Robert Redford bravo ma poco credibile per motivi anagrafici (interpreta un personaggio trentacinquenne e, per una breve parte, anche diciannovenne, nonostante all'epoca delle riprese avesse quarantasei anni). Epilogo trionfale in totale antitesi con quello del libro, di cui oltretutto si perde l'allegoria mitologica del ciclo arturiano e della caduta dell'eroe. Il risultato è una pellicola dignitosa, dalla costruzione solida, ma priva di quella verve registica o di quei guizzi narrativi che sarebbero stati necessari per innalzare sopra la media un prodotto di questo tipo.