Martin Bryant (Caleb Landry Jones) sogna di essere un surfer, ma si ritroverà a diventare un pluriomicida, autore di un terribile massacro.
Ispirato alla strage di Port Arthur del 1996, che causò la morte di 35 persone e ne ferì 23, Nitram è un dramma che di quella tragedia ci mostra esplicitamente solo l’incipit, concentrandosi sui personaggi e su quanto gravitò intorno al macabro accadimento consumatosi in una cittadina della Tasmania venticinque anni prima rispetto all’uscita del lungometraggio. La struttura del film può ricordare quella di un dramma shakespeariano, per il modo di scolpire letterariamente contrasti e chiaroscuri, e per la maniera sfaccettata ma al contempo asettica con la quale si fa largo nella psiche di un killer, ritenuto instabile mentalmente e al quale una psichiatra forense attribuì un quoziente intellettivo di 66 punti, praticamente quello di un ragazzino di undici anni, e una possibile sindrome di Asperger. La buona prova del protagonista (premiato come miglior attore), ma anche di tutto il cast, composto tra gli altri da Judy Davis, Anthony LaPaglia e Essie Davis, permette al regista di Macbeth e Assassin's Creed di rileggere la cronaca della strage con fare autarchico, svelando solo alla fine il suo debito d’ispirazione con fatti realmente accaduti. Alle prese con una famiglia non semplice, composta da una madre molto rigida e da un padre incapace di esternare le emozioni, il protagonista è rappresentato anch’egli come una maschera deambulante, provvisto di una vistosa chioma di capelli che sembra quasi occultarne al mondo l’interiorità dilaniata, molto più che limitarsi a incorniciarne il viso. I tratti compassati dei suoi movimenti non dissimulano affatto una ferocia innata e il film ci racconta questo contrasto con una metodicità particolarmente accorta, che applica in maniera personale e originale, oltre che spiccatamente autoriale, i codici espressivi classici del cinema “stragista” . Le striature eccessivamente patinate nell’operazione non mancano, specie a causa di uno stile che a tratti sembra guardarsi allo specchio in modi fin troppo ombelicali, ma siamo di fronte a un’operazione tanto coraggiosa quanto ricercata, a suo agio anche nei risvolti più macabri, ma senza l’ombra di bieche spettacolarizzazioni, e dotata del giusto distacco nell’affrontare di petto temi nient’affatto semplici né tantomeno agevoli. Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2021.