Cile, 1988. Un referendum sulla presidenza di Augusto Pinochet spinge l'opposizione politica a cercare il sostegno del giovane e anticonvenzionale pubblicitario René Saavedra (Gael García Bernal). Quest'ultimo, non senza ostacoli e contrasti interni, tenterà di stemperare il soffocante e ormai radicato clima di terrore.
Quarto lungometraggio per Pablo Larraín che, dopo Tony Manero (2008) e Post Mortem (2010), torna a tratteggiare la situazione del suo Cile, fotografato negli anni Ottanta durante il referendum che doveva confermare o meno la presidenza (o meglio, la dittatura) di Augusto Pinochet. Basandosi sulla pièce El Plebiscito di Antonio Skáremata (adattata da Pedro Peirano), il regista si immerge totalmente nell'atmosfera dell'epoca (anche e soprattutto a livello stilistico: basti pensare alla contaminazione del girato con filmati d'archivio, al formato dell'immagine, alla fotografia volutamente graffiata e alla mobilità antilineare della macchina da presa), delineando lo stallo morale di un Paese e lo scollamento tra pratiche governative e attitudine popolare (le interviste organizzate da Saavedra, durante le quali il dissenso nei confronti di Pinochet, causa opportunismo dilagante, è assai meno netto di quanto si possa pensare). Il risultato è un incisivo apologo antitotalitarista, elogio sfrenato alla libertà di pensiero e inno a una doverosa, quanto troppo a lungo negata, democrazia. Un ottimo lavoro, tutt'altro che semplice da pensare e da realizzare. Cast in stato di grazia, trainato dagli ottimi Gael García Bernal e Alfredo Castro (Lucho Guzmán). Presentato al Festival di Cannes e candidato a un Oscar come miglior film straniero.