Autunno 1952. Nel nord est è in corso l'istruttoria di un processo sull’omicidio di un adolescente, considerato dalla fantasia popolare indemoniato. Furio Momentè (Gabriele Lo Giudice), ispettore del Ministero, parte per Venezia leggendo i verbali degli interrogatori; l'assassino è il quattordicenne Carlo (Filippo Franchini).
Pupi Avati abbandona in parte la nostalgia vellutata delle ultime parentesi della sua filmografia e, dopo una manciata di anni spesi a lavorare per la televisione, si cimenta con una storia che ha per protagonista un omicida quattordicenne, Carlo, la cui vita e quella dell’amico Paolo vengono scombussolate dall’arrivo di Emilio, essere mostruoso e figlio unico di una possidente terriera che a quanto pare ha sbranato a morsi la sorellina. Una vicenda paesana lugubre e cupa, che riporta il regista alle atmosfere del gotico padano da lui spesso frequentato in passato, con l’apice rappresentato da La casa delle finestre che ridono (1976). Il signor diavolo, adattamento di un romanzo dello stesso Avati, è dal canto suo una parabola morale e atterrita sulle insidie della superstizione e dell’invasamento religioso, animata da uno sguardo obliquo su una cultura contadina in cui il deforme è notoriamente associato al maligno, tra esecuzioni di maiali, freak di paese e procaci fanciulle che si svestono in cambio di galline. La mano di Avati, che si avvale di una fotografia digitale satura e fortemente contrastata, lavora sui contrasti vividi e foschi del bianco e del nero, sulle luci e le ombre di un pattern cromatico che non rinuncia nemmeno ai grigi ovattati, ma la sceneggiatura frana spesso su se stessa, i dialoghi e la recitazione sconfinano nel posticcio, i ralenti pacchiani finiscono col prendere maldestramente il sopravvento, sottolineando tanto i frangenti sacrileghi (l’ostia calpestata da cui tutto prende le mosse) quanto gli snodi più trascurabili. Un film volenteroso ma senile, confidenziale ma puerile, ricercato ma indubbiamente fuori tempo massimo, tanto nella vena popolaresca (“qui quando muore una suora dicono che nevica”) quanto in quella horror (una menzione speciale merita la sequenza odontoiatrica, inutilmente insistita e ributtante). Nel cast due attori feticcio di Avati come Lino Capolicchio e Gianni Cavina, mentre Alessandro Haber e Andrea Roncato sono impegnati in piccole parti.