Lo sperone nudo
The Naked Spur
1953
Paese
Usa
Genere
Western
Durata
91 min.
Formato
Colore
Regista
Anthony Mann
Attori
James Stewart
Janet Leigh
Robert Ryan
Ralph Meeker
Millard Mitchell
Howard Kemp (James Stewart) dà la caccia al ricercato Ben Vandergroat (Robert Ryan), in fuga con la compagna Lina (Janet Leigh). Lo cattura con l'aiuto di un vecchio cercatore d'oro (Millard Mitchell) e di un militare congedato con disonore (Ralph Meeker), ma durante il viaggio di ritorno Ben farà di tutto per mettere i tre uomini l'uno contro l'altro.
Un pugno di personaggi in conflitto tra loro, un paesaggio suggestivo quanto crudele (le Montagne Rocciose del Colorado), che si staglia sullo sfondo come un feroce personaggio aggiunto e non è mai mera cornice illustrativa: bastano questi pochi ingredienti ad Anthony Mann, uno dei registi americani più decisivi per la codificazione del western in chiave realista e ruvida, per costruire uno dei più affascinanti e complessi western psicologici realizzati in quegli anni. È un momento cruciale per la messa a punto del genere più importante e fondativo della storia del cinema americano alla larga da retoriche e facili consolazioni, con un occhio rivolto alla tridimensionalità del reale e una molteplicità di implicazioni, sia religiose che morali. Splendidamente sceneggiato dalla coppia Sam Rolfe-Harold Jack Bloom, il film di Mann è uno spietato meccanismo di tensione, un film da camera paradossalmente ambientato interamente in esterni nei grandi spazi dell'America selvaggia: è proprio questo contrasto teorico e pragmatico, astratto e materiale, tra interno ed esterno a costituire uno dei maggiori punti di forza del film, nonché uno dei suoi aspetti più esplosivi e seducenti. Non ci sono eroi nel cinema di Mann (almeno non nel senso tradizionale del termine), e questo film non fa altro che ribadire tale fondamentale assunto di base: a un James Stewart accecato dall'avidità a causa di un passato doloroso si contrappone un Robert Ryan ambiguo criminale, con il quale – almeno all'inizio – siamo tentati di entrare in empatia, cosa che però più in là ci guardiamo non poco dal fare. Entrambi gli attori sono superlativi e circondati da un trio di ottimi comprimari. Colpisce davvero, oltre a risultare uno dei tratti di maggiore modernità dello stile del regista, la capacità di cesellare le personalità dei protagonisti con efficace verosimiglianza, in un gioco al massacro di crescente magnetismo tra rancori, fragilità umane e tensioni sessuali (da non trascurare nemmeno il rapporto tra l'unico personaggio femminile e i quattro uomini, abbastanza innovativo e incendiario per l'epoca).
Un pugno di personaggi in conflitto tra loro, un paesaggio suggestivo quanto crudele (le Montagne Rocciose del Colorado), che si staglia sullo sfondo come un feroce personaggio aggiunto e non è mai mera cornice illustrativa: bastano questi pochi ingredienti ad Anthony Mann, uno dei registi americani più decisivi per la codificazione del western in chiave realista e ruvida, per costruire uno dei più affascinanti e complessi western psicologici realizzati in quegli anni. È un momento cruciale per la messa a punto del genere più importante e fondativo della storia del cinema americano alla larga da retoriche e facili consolazioni, con un occhio rivolto alla tridimensionalità del reale e una molteplicità di implicazioni, sia religiose che morali. Splendidamente sceneggiato dalla coppia Sam Rolfe-Harold Jack Bloom, il film di Mann è uno spietato meccanismo di tensione, un film da camera paradossalmente ambientato interamente in esterni nei grandi spazi dell'America selvaggia: è proprio questo contrasto teorico e pragmatico, astratto e materiale, tra interno ed esterno a costituire uno dei maggiori punti di forza del film, nonché uno dei suoi aspetti più esplosivi e seducenti. Non ci sono eroi nel cinema di Mann (almeno non nel senso tradizionale del termine), e questo film non fa altro che ribadire tale fondamentale assunto di base: a un James Stewart accecato dall'avidità a causa di un passato doloroso si contrappone un Robert Ryan ambiguo criminale, con il quale – almeno all'inizio – siamo tentati di entrare in empatia, cosa che però più in là ci guardiamo non poco dal fare. Entrambi gli attori sono superlativi e circondati da un trio di ottimi comprimari. Colpisce davvero, oltre a risultare uno dei tratti di maggiore modernità dello stile del regista, la capacità di cesellare le personalità dei protagonisti con efficace verosimiglianza, in un gioco al massacro di crescente magnetismo tra rancori, fragilità umane e tensioni sessuali (da non trascurare nemmeno il rapporto tra l'unico personaggio femminile e i quattro uomini, abbastanza innovativo e incendiario per l'epoca).
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