Lin McAdam (James Stewart) batte l'odiato rivale Dutch Brown (Stephen McNally) in una gara di tiro a segno il cui premio è un prezioso fucile. L'arma gli viene però rubata da Brown e, per una serie di circostanze, passa nelle mani di vari personaggi. Il destino ha in serbo un'amara verità dietro il drammatico conto in sospeso tra i due avversari. La Frontiera come terra di scontro tra Uomo e Natura, tra wilderness e civilization (in cui la modernità è simboleggiata dal Winchester che dà il titolo al film, elemento metaforico e vero co-protagonista), ma anche come sfondo ideale per raccontare conflitti umani e dissidi interiori: con Anthony Mann, il western entra in una nuova era, dove l'analisi psicologica dei personaggi si fa centrale. Winchester '73 è così opera spartiacque non solo nella carriera del suo autore, ma anche nella storia del genere, che André Bazin definì il «cinema americano per eccellenza». Originalissimo grazie al curioso espediente dell'oggetto conteso che passa di mano in mano (creando una sorta di macrotesto dove si moltiplicano i punti di vista, così come i vari sottogeneri western), è un gioiello di perfezione strutturale che si tinge di sfumature tragiche e, nel grande finale, di suggestioni archetipiche e psicanalitiche. Stile senza sbavature per una narrazione cristallina, che supera i confini del classico per collocarsi nell'immaginario cinematografico. Si apre il fruttuoso sodalizio tra il regista e il vecchio amico James Stewart, corpo attoriale perfetto per incarnare l'antieroe manniano, sensibile, tormentato, tendente alla violenza. Shelley Winters è Lola, Rock Hudson è Toro Bruno. Sceneggiatura di Robert L. Richards e Borden Chase, da un soggetto di Stuart N. Lake. Esiste un remake televisivo datato 1967, diretto da Herschel Daugherty e interpretato da Tom Tryon.